Dunque quel 20 luglio di 50 anni fa è stata una giornata fondamentale nella storia dell’umanità, come molti dissero all’epoca, o un giorno in cui non è accaduto nulla di speciale e che non è assolutamente il caso di commemorare? Dal punto di vista scientifico, antropologico, culturale e politico io non saprei cosa dire. Ma per ciò di cui mi occupo, la comunicazione televisiva e la sua storia, non ci sono dubbi: quel giorno o meglio quella notte fu un momento decisivo per l’evoluzione della tv e del suo ruolo nella società, quella italiana in particolare.

Due novità si produssero in quelle lunghe ore in cui la tv seguì in diretta lo sbarco sulla luna dell’Apollo XI e del suo equipaggio. Lasciamo da parte il diverbio tra Tito Stagno e Ruggero Orlando che sempre si cita e si mostra in queste occasioni e che resta un banale aneddoto e guardiamo un po’ più in profondità.

La prima novità riguarda il formato. Quella dedicata all’arrivo dell’uomo sulla luna fu la prima “maratona” televisiva. Oggi siamo molto abituati a questo genere, forse anche un po’ inflazionato; basta poco – una tornata elettorale regionale, un referendum in Catalogna – per giustificarne la presenza. Ma in quegli anni di palinsesti fissi e di confini di genere molto rigidi, la scelta di una no stop in diretta, per seguire un evento circondato da molto entusiasmo ma anche da molta incertezza e non pochi timori, fu una scelta rivoluzionaria.

La Rai la organizzò nel migliore dei modi, a cominciare dalla scelta dei commentatori in studio: oltre a Stagno e Orlando come corrispondente dagli Usa, c’erano Andrea Barbato e Piero Forcella, il fior fiore dell’informazione televisiva. Seppero costruire un racconto preciso e coinvolgente, senza pause anche nei tempi morti. Bisogna infatti ricordare che le immagini della discesa degli astronauti sul suolo lunare non furono trasmesse in diretta, come vuole una falsa ricostruzione, ma solo qualche ora dopo, quando in Italia era già l’alba. Per cui si dovettero riempire quelle ore di attesa, in cui milioni di italiani, già sazi dopo la grande emozione dell’annuncio del riuscito allunaggio del Lem, aspettavano incuriositi di vedere con i propri occhi il famoso “salto” di Neil Armstrong. Se di tutto questo si tende a ricordare solo il battibecco tra due giornalisti, vuol dire che abbiamo davvero qualche problema nei riguardi della nostra storia.

Poi c’è un secondo elemento di novità, forse ancor più importante. Quella notte sancì un passaggio di consegne fondamentale nella storia dell’informazione, il passaggio dall’epoca del primato della stampa a quello della tv. Anche qui forse occorre un po’ di contestualizzazione storica. Alla fine degli anni Sessanta, soprattutto in Italia e in Europa, la tv non aveva ancora raggiunto la piena maturità. Benché avesse fatto molti progressi sul pano tecnico e linguistico rispetto alle sue origini nel decennio precedente, era considerata soprattutto un piacevole strumento di intrattenimento domestico, ancora fragile come mezzo di informazione e di formazione dell’opinione pubblica, sottoposta all’invadenza dei governi e di conseguenza assai poco affidabile, priva di quell’autorevolezza che apparteneva alla carta stampata, che infatti la snobbava apertamente. Soprattutto in Europa, mentre negli Usa c’era già stato il Vietnam e le corrispondenze televisive di Walter Cronkite, che avevano cambiato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti della guerra.

Ma quella notte cambiò tutto anche nel Vecchio Continente. Le immagini di quello che doveva essere l’evento del secolo, che avrebbe mutato il corso della storia come la scoperta dell’America, viste dai cittadini con i propri occhi, in tempo reale, dalle proprie case ridussero i giornali, usciti con cronache e commenti retorici 36 ore dopo, in una posizione di manifesta inferiorità, quasi marginale. Da questo punto di vista era l’inizio di una nuova epoca. Certo non si può dire che quel “sorpasso” sia stato definitivo. Basta ricordare quello che in Italia accadde solo pochi mesi dopo, con la strage di piazza Fontana e le vicende di Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, quando un’informazione televisiva, vergognosamente appiattita sulla versione ufficiale, lasciò alla stampa, o almeno alla sua parte migliore, la ricerca della verità.

Ma quello che era accaduto quella notte magica di 50 anni fa aveva segnato un punto di non ritorno, dimostrando come la televisione, anche quella pubblica dei sistemi europei, usata nel modo giusto e messa nelle mani giuste, avesse ormai occupato il ruolo di protagonista sulla scena dell’informazione.

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