Ho pensato a mille e uno modi per iniziare questo post, dallo stupore allo sfottò, passando per rivisitazioni sarcastiche della storia, perché dover leggere ancora nel 2019 l’ennesimo allarmismo sui “videogiochi violenti” colpevoli di deviar le giovani menti – lanciato soprattutto da chi sull’argomento pare alquanto disinformato – mi lascia non poco perplesso. E ancor di più, duole leggerlo sulle stesse pagine in cui da un paio d’anni insieme a Francesco, Daniele e Michela si parla dell’argomento nelle sue varie sfaccettature, delle opportunità lavorative che il settore videoludico offre, delle realtà che provano a creare impresa in un Paese con non pochi problemi, del panorama competitivo e della sua potenzialità.

Ci sono ricerche su ricerche che propendono in ambo le direzioni: alcune persistono a presentare il videogioco come causa di “violenza“, altre dicono l’esatto opposto, magari dimostrando anche gli effetti positivi sullo sviluppo delle capacità di problem solving e decision making. Posso anche capire che la paura per i propri piccoli possa portare a dare peso maggiore a ciò che spaventa e a mettersi sulla difensiva, ma non è dare la colpa al videogioco (o, facendo un tuffo nel passato, cartoni, fumetti, musica) e creare allarmismi “inutili” la via giusta, quanto informarsi.

Informarsi su quali siano i titoli con cui giocano i vostri figli e cercare di capirli, prendere coscienza di cosa sia il Pegi e cercare di rispettarlo un minimo quando acquistate giochi per loro, evitare l’uso di tablet, smartphone e videogiochi come “babysitter” low cost possono essere un inizio. Dubitate che un titolo possa essere adatto? Cercate nella vostra cerchia qualcuno di più informato e confrontatevi con lui, magari senza pregiudizi. In merito alla questione vi potrei consigliare di leggere questo post di Simone Trimarchi, genitore di due bimbi ed esperto del mondo videoludico, scritto alcuni mesi fa nel pieno della polemica Carlo Calenda vs. videogiochi, in cui racconta in alcuni passaggi il rapporto figli/videogiochi.

Tornando al blog post della signora Linda Maggiori, tenuto conto che l’autrice fa un po’ un frullato di varie questioni, studi e problematiche, vorrei cercare di fare un po’ d’ordine su alcuni punti:

1. Capitolo Gta: è forse l’unica parte in cui mi trovo per alcuni tratti d’accordo con la blogger: non si scopre di certo oggi che tipologia di gioco sia Grand Theft Auto – da oltre 20 anni l’esempio principe di buona parte delle diatribe sui videogiochi violenti. È indubbiamente una saga in cui il giocatore non interpreta un “eroe” vestendo invece i panni del delinquente, presentando un mondo di sparatorie, rapine e violenze più disparate, e in quanto tale il gioco viene indicato per i maggiori di 18 anni. Se personalmente potrei anche far spallucce su un 16enne che giochi a un Gta, un Resident Evil ecetera, quello che mi fa paura è leggere di ragazzini di 10-11 anni che vi giocano con il beneplacito dei genitori.

Vorrei che fosse molto chiara una cosa: il problema qui non è il videogioco, ma il genitore e la sua mancata supervisione. Il Pegi anche nei suoi colori ricorda molto i “bollini” che le televisioni mettono (o mettevano?) all’inizio delle varie trasmissioni, e la sua funzione è simile: fareste mai vedere in solitaria un Gomorra, un Game of Thrones (sopratutto l’ultima puntata) o un qualunque altro telefilm o film violento (o pornazzo) al vostro bambino? Lo stesso va fatto con i giochi, e ritengo inutile mettere obblighi o sanzioni: al pari del prodotto televisivo il genitore è informato già dalla confezione (nessuno va a controllare casa per casa se col bollino rosso ci sono bimbi alla visione, o sbaglio?).

2. “Circa 240mila giovani italiani trascorrono più di tre ore al giorno davanti allo schermo”: tre ore non sono un’eternità, e se non ricordo male rimangono inferiori alla statistica relativa alle ore medie giornaliere che l’italiano passa davanti alla televisione, un medium dove si è fruitori passivi. Se il bambino/ragazzo/giovane adulto ha completato i suoi compiti/studi, dove risiede il problema?

3. “Aumentano così i problemi di apprendimento“: eppure per i più piccoli esistono titoli educativi pensati proprio per stimolare apprendimento e curiosità. Come sopra, sta al genitore scegliere i titoli giusti per il proprio figlio.

4.Cyberbullismo verso i più deboli, adulti ‘squali’ che cercano di spillare soldi o addirittura adescare sessualmente gli adolescenti sono solo alcune delle controindicazioni del gioco”. Il bullismo/cyberbullismo è un problema ampio che prescinde dal mondo videoludico, esiste nelle scuole “culla della cultura”, esiste nei corsi sportivi (dove però è giusto mandare anche controvoglia il figlio), esiste negli oratori, esiste sui social. Su adulti squali e successivo, sono fenomeni più facilmente ritrovabili in social & co. che nel gioco online (dove ricorrere a abbonamenti o acquisti digitali tenderebbe a rendere facilmente tracciabili dagli organi preposti gli individui dietro lo schermo).

Concludendo, vi scongiuro, basta filippiche contro il videogioco più o meno violento (e no, Fortnite non rientra tra i violenti, e soprattutto non c’è alcun corpo su cui ballare), basta fritti misti di mille cose diverse per giustificare le proprie paura e i propri timori. Siate genitori consapevoli e informati, e magari cercate di condividere l’esperienza con i vostri figli: chissà, potreste scoprire nel gioco una forma di divertimento e relax pure per voi.

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