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Convivere è complicato: servono regole comuni per non scontrarsi. Questo governo ne sa qualcosa

Convivere è complicato: servono regole comuni per non scontrarsi. Questo governo ne sa qualcosa
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Molti sostenitori di questo governo (figuriamoci gli altri) denunciano il clima di scontro e di caos. Si chiedono, come fossimo alla fine di un talk show trash o pop, se la fatica dell’ascoltare ha prodotto qualche effetto sul capire. Al netto del comprensibile riflesso da campagna elettorale (sarebbe innaturale che i due contraenti non lo generassero) viene da dire invece che questo è l’apice dell’esperienza gialloverde. E non è una provocazione.

Il senso principale di quest’esperienza attiene soprattutto a una ridefinizione di regole comuni. Rappresenta un confuso avanzamento di coscienza “nazionale” (aggettivo naturale eppure così discusso) sui modi del convivere nello stesso paese con la stessa Costituzione. Gli italiani combattono da decenni sul tema ed è evidente che in questo brevissimo frangente storico le due forze rappresentino il picco di un tentativo, l’ennesimo, di mettere insieme nord e sud, forze produttive e aree depresse, centri e periferie. Questo sforzo si declina con un intervento sulla rappresentanza interna ed esterna. Il paese di fronte a se stesso e di fronte alla comunità internazionale.

Europa, immigrazione e confini sono diventati temi più aperti e tangibili, per la prima volta esiste la lontana possibilità che siano sottratti all’inutilissimo dibattito tra destra e sinistra. E che l’integrazione e i suoi criteri diventino patrimonio di tutti. Viviamo in una casa comune, abbiamo una porta e dobbiamo decidere come e quanto aprirla. Fine. Finora nelle nebbie di discussioni inquinate non eravamo neanche giunti alla maniglia. E di questo bisogna ringraziare soprattutto la Lega, pur facendo la tara su errori, iperboli e volgarità.

L’Italia di fronte a se stessa discute invece il caso Siri, cioè il conflitto di interessi, il numero dei parlamentari, i vitalizi, il finanziamento della politica. Dimentichiamo spesso che fino a pochissimo tempo fa il parlamento era pieno di condannati, che le opacità di finanziamenti e fondazioni erano ancora più connaturali ai partiti, che la criminalità organizzata eleggeva rappresentanti diretti dei suoi interessi. E di questo clima mutato dovremo ringraziare soprattutto, se non solo, la battaglia a Cinquestelle di questi dieci anni.

I due soggetti al governo perseguono questi scopi in forza della loro natura “populista”, meno intermediata e più trasparente. E pur con una serie di rischi rappresentano un grado di avanzamento anche su questo rispetto al contesto precedente. In questo arduo percorso diventano simbolici anche i temi economici, che sarebbero in realtà veramente divisivi per le due forze politiche. Per un motivo semplice e tragico: la consapevolezza di tutti, dichiarata da nessuno, che non esisterà mai finanziaria che farà ripartire davvero lo sviluppo o arresterà l’impoverimento delle classi medie.

I conflitti in questo campo sono altrove e appare assai difficile pensare che la nostra comunità si doti di strumenti efficaci per incidere sull’economia prima che eventi di discontinuità esterni come una crisi finanziaria o una richiesta di ristrutturazione del debito ci obblighino ad agire in stato d’emergenza. Sarà bene in quel momento avere una coscienza di noi il più possibile chiara, anche a costo di una fangosa scorciatoia gialloverde.

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