“Mio figlio, un bambino tedoforo che ci lascia una fiamma per illuminare la via”. Dopo tre giorni di silenzio, torna a parlare Walter, il papà di Simone “er pischello di Torre Maura”, il 15enne divenuto famoso in tutta Italia – e non solo – per aver tenuto testa, mercoledì pomeriggio, agli esponenti di Casapound che guidavano la protesta contro l’arrivo di 77 rom nel centro d’accoglienza alla periferia est di Roma. L’unica intervista, Walter l’aveva rilasciata giovedì a Il Fatto Quotidiano. Poi, per preservare la sua famiglia, l’ex dipendente di Almaviva – fra i 1.600 che hanno perso il lavoro nel 2016 – ha scelto di far calmare le acque e di lasciar passare anche la doppia manifestazione di sabato mattina, quella antifascista di Anpi e Fiom Cgil e quella degli estremisti di destra Gianluca Iannone. Oggi, in un’accorata lettera alle redazioni dei giornali, difende l’adolescenza del figlio e racconta come il malcontento per gli enormi disservizi nella periferia di una metropoli e i sentimenti di accoglienza verso gli “ultimi” possano convivere. “Credo sia un errore la lotta tra emarginati e poveri, e che invece sia una priorità la lotta per la casa, per il lavoro e per il diritto a una vita dignitosa”, dice.

“Si è mio figlio”,

Come ho amato dare questa risposta a chi volesse una conferma su chi fosse quel bambino di Torre Maura.

Si perché a me piace chiamarlo ancora bambino, probabilmente inconsciamente è la difesa alla nostalgia che ogni genitore prova nel vedere diventare adulto un proprio figlio.

Simone sta crescendo e ha il diritto di farlo in tranquillità, senza il peso di una responsabilità che in questo momento non può avere.

Ha deciso liberamente di dire quelle parole, l’ha fatto spontaneamente, non ha più rilasciato interviste e non ha mai detto frasi tipo: “Stanno rovinando il quartiere” o “Lo rifarei”.

Il video che molti siti e televisioni hanno trasmesso è andato in onda senza previa autorizzazione dei genitori e senza la sua immagine criptata, errori che fanno parte della bolla mediatica e a cui deve essere posto un freno.

Molti giornalisti mi hanno chiesto di parlare di Torre Maura, un quartiere a me tanto caro. 

Da piccolo venivo a trovare mio nonno che abitava in via delle Rondini, un palazzo antico ma bellissimo.

Ricordo che le sue tele tremavano al passaggio del trenino distante centinaia di metri da casa sua.

Legati a Torre Maura ci sono tanti ricordi di infanzia, di feste del santo patrono, della mia famiglia in una povertà dignitosa e piena di amore.

La mia sensazione da sempre è che ci sia un legame invisibile, un sentirsi parte di un qualcosa, un tacito e a volte non manifesto mutualismo.

I problemi della periferia sono propri dei quartieri lontani dal centro della città , dove chi amministra essendo “lontano” non riesce ad ascoltare le grida del dissenso di chi vive in case popolari con famiglie numerose, di chi ha fatiscenti strutture pubbliche e sanitarie.

Di chi non potendo permettersi un’automobile impiega ore di viaggio su mezzi pubblici simili a carri bestiame per raggiungere il luogo di lavoro.

Se volete posso parlarvi della mia amica buca.

La piccola voragine nella via dove abito, “buca” è diventata una mia amica, sta lì da anni, la sfioro evitandola con la macchina.

Poi operai la ricoprono con nuovo asfalto, ma io non dispero so di rivederla da lì a pochi giorni.

Stanno asfaltando parecchie strade a Torre Maura, ne cronometrerò la durata.

Nella periferia si prova l’abbandono, esiste la povertà perché c’è disoccupazione, o perché si fanno lavori flessibili e precari.

Esiste il problema rifiuti, vere discariche a cielo aperto vicino i cassonetti, a cui quasi ci fai l’abitudine un po’ come la mia amica buca.

Chiunque mi proporrà di seguirlo per protestare e gridare questo stato di cose ai veri colpevoli, io lo seguirò.

I colpevoli sono chi governa non per il bene dei cittadini ma per un proprio tornaconto, chi ha permesso la speculazione edilizia e un sistema tangentizio di anni che ha provocato segni indelebili sulle nostre schiene.

Mi hanno definito di sinistra, forse dovremmo finirla di marchiare tutto, e mettere al centro il pensiero. 

Una mia convinzione è che un solo bambino impaurito su un barcone in mezzo al mare o dietro la finestra di un centro di accoglienza giustifica la tolleranza, l’integrazione. E sia chiaro il fenomeno dell’immigrazione necessità un impegno reale di tutti, che non si deve fermare solamente al primo obbligato e necessario aiuto a queste persone.

Credo sia un errore la lotta tra emarginati e poveri, e che invece sia una priorità la lotta per la casa, per il lavoro e per il diritto a una vita dignitosa.

Simone come un “bambino” tedoforo ci lascia una fiamma. Una fiamma che non distrugge, che può illuminare una via.

Che queste lotte dovute siano, usando una parola detta da Simone, una “leva” di unione di intenti.

SÌ SIMONE È MIO FIGLIO

Walter A.

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