Qualcuno se ne è persino lamentato: siamo a un corso di formazione per giornalisti o al processo a un partito senza imputati? Si è tornato a parlare di vincolo di mandato. Non nei corridoi del Parlamento o in una tribuna televisiva, ma a un convegno all’Umanitaria di Milano. Solo che nella piattaforma dei corsi per la formazione professionale dei giornalisti l’evento era presentato con un taglio generale: “Rappresentanza, democrazia interna ai partiti e democrazia digitale. Lo Stato di diritto e la deontologia dei giornalisti”. Ma qualche giorno prima dell’appuntamento di giovedì 4 aprile l’associazione organizzatrice, ItaliaStatoDiDiritto, ha inviato email nelle redazioni che lo presentavano in modo diverso: “Il Caso Movimento 5 Stelle, paradossi della democrazia digitale. Rappresentanza, vincolo di mandato e democrazia interna ai partiti”. Nelle email si annunciava che si sarebbe affrontata, “alla luce dei principi costituzionali, la questione della legittimità delle sanzioni previste dal ‘non Statuto’ a tutela del vincolo di mandato”, ponendosi una domanda: “Il Movimento 5 Stelle crede alla democrazia rappresentativa o si tratta di un’organizzazione che si regge su principi non democratici riducendo i parlamentari a semplici portavoce?”. Una domanda necessaria, secondo l’associazione composta da giuristi, liberi professionisti e professori universitari che si dichiarano di diversa formazione e orientamento politico ed esprimono preoccupazione per il futuro della democrazia rappresentativa in Italia.

A quale tipo di evento si sono trovati coloro che sono arrivati all’appuntamento, compresi i giornalisti attirati dai 6 crediti formativi garantiti? Al secondo convegno piuttosto che al primo, con locandina all’ingresso identica a quella anticipata via email alle redazioni. Un processo ai Cinque Stelle, un convegno contro di loro? “Non contro, ma per capire il M5S, perché è un fenomeno che presenta delle anomalie e delle particolarità, va capito e studiato”, ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, cui sono state affidate le conclusioni. Prima di lui i relatori hanno evidenziato la loro contrarietà all’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari, oggi non consentito dall’articolo 67 della Costituzione. Una questione messa sul tavolo dell’attualità politica proprio dal M5S, con un riferimento anche nel contratto di governo (“occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”).

Al centro della discussione anche i 100mila euro di sanzione previsti dai regolamenti dei gruppi parlamentari del M5S per gli eletti che abbandonino il gruppo “a causa di espulsione, ovvero abbandono volontario, ovvero dimissioni determinate da dissenso politico”. Per l’avvocato cassazionista Guido Camera tale sanzione rappresenta un “condizionamento da parte dei vertici del movimento nei confronti dei singoli parlamentari che potrebbe configurare il reato di abuso d’ufficio”. Aggiunge Fabrizio Cassella, docente di Diritto costituzionale comparato all’Università degli Studi di Torino: “Un eletto ha piena capacità di esercizio critico della sua discrezionalità in modo da trovare un equilibrio tra gli interessi della parte politica a cui appartiene e l’interesse generale della nazione che rappresenta. Se la parte politica prevede forme eccessive di condizionamento, tra cui quelle pecuniarie, si riduce la capacità dell’eletto di perseguire l’interesse generale della nazione”.

Spazio anche a una carrellata fatta da Lorenzo Borrè, ex attivista dei Cinque Stelle e oggi avvocato di alcuni degli espulsi dal Movimento, sui casi che si sono succeduti negli anni, tra cui quello di Marika Cassimatis a Genova e quello recente del senatore Gregorio De Falco. Dal palco ha parlato anche il giornalista e scrittore Nicola Biondo, ex capo ufficio comunicazione del M5S alla Camera, che proprio giovedì 4 aprile aveva in uscita il suo secondo libro scritto con Marco Canestrari sul M5S, Il sistema Casaleggio. Per lui, un tempo amico personale di Gianroberto Casaleggio, la storia del movimento rappresenta “un grande raggiro di massa”, mentre lo stesso Casaleggio è stato “un cattivo maestro, ha spinto un intero Paese a credere che con i clic si poteva cambiare il mondo”. Sottolineati da Biondo anche “i conflitti di interesse della Casaleggio Associati” e i malfunzionamenti della piattaforma Rousseau, “una ciofeca”.

Ad assistere all’evento erano stati invitati anche tutti i parlamentari del M5S: “Il Suo Movimento – si leggeva nella lettera aperta di invito – si è dato delle regole interne che, dietro la qualifica di ‘portavoce’ attribuita a Voi deputati e senatori, consentono intenzionalmente un dominio incontrollato sull’attività dei singoli e dei gruppi parlamentari. Ci preoccupa sapere che tali regole possano costituire per Lei un’intimidazione e un condizionamento della Sua libera attività, nel timore di subire sanzioni addirittura patrimoniali (e comunque evidentemente incostituzionali)”. Non si poteva inserire un contraddittorio sul palco? “Si è parlato di articolo 67 della Costituzione e lo hanno fatto dei giuristi – risponde la presidentessa dell’associazione ItaliaStatoDiDiritto Simona Viola -. Il pubblico inoltre era composto in buona parte da giornalisti che sono in grado di valutare quanto ascoltato con spirito critico”.

Un convegno in ogni caso interessante. Resta però una questione di opportunità, come evidenziato da alcune lamentele arrivate al banchetto dove venivano raccolte le presenze dei giornalisti: l’aver fatto accreditare l’evento come corso formativo con un titolo e una descrizione, per proporlo successivamente con altre caratteristiche. Con tanto di focus slittato dai “partiti” in generale (come da piattaforma dell’ordine) al solo Movimento 5 stelle. “A un certo punto abbiamo deciso di cambiare titolo – risponde sul punto Viola – e potremmo esserci dimenticati di avvisare l’ordine”.

“L’ordine dei giornalisti della Lombardia aveva approvato il corso con il titolo pubblicato sulla piattaforma e con i contenuti concordati, che al solito erano incentrati su tematiche di carattere generale”, dice il presidente dell’ordine lombardo Alessandro Galimberti che era atteso tra i relatori, ma ha dovuto dare forfait per un sopravvenuto impegno redazionale. “Se qualcuno, per ragioni di marketing, ha poi cambiato il titolo con volantini non istituzionali in loco, se ne assume le responsabilità anche verso l’ordine accreditante. In generale gli ingredienti di un convegno accreditato per la formazione giornalistica devono essere pesati, e sono poi valutati, con equilibrio e con la necessaria terzietà, e devono essere sempre compatibili con le finalità formative indicate dalla legge”.

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