Come dire, parafrasando una celebre citazione latina, “se non puoi sconfiggerli, alleati con loro”: e Tesla, questo, lo fa da ormai quattro anni. Mettere alla prova di hacker professionisti e invasivi i software delle sue vetture, finanziando in prima persona questo tipo di “ricerca informatica” e offrendo in palio premi sostanziosi.

Una strategia controffensiva che l’azienda di Elon Musk ha messo in atto anche quest’anno, finanziando la dodicesima edizione dell’evento hacking Pwn2Own, svoltosi a Vancouver. La sfida era quella di cercare un possibile bug all’interno del sistema di infotainment, nel wifi oppure nell’Autopilot della Model 3: un modo per accertare l’impenetrabilità dei sistemi di connessione e scovare soprattutto i punti deboli che potrebbero rendere questi sistemi vulnerabili agli attacchi informatici, come accaduto nel 2016 a una Model S.

“Il nostro lavoro con la community di ricerca sulla sicurezza è inestimabile” ha dichiarato David Lau, VP del software di Tesla, “Fin dal lancio del nostro Bug Bounty Program nel 2014, abbiamo costantemente aumentato i nostri investimenti nelle partnership con i ricercatori sulla sicurezza, facendo sì che tutti i possessori di Tesla possano beneficiare delle menti più brillanti della community”.

Fino all’anno scorso, il compenso riconosciuto agli esperti di hackeraggio informatico è stato di circa di 15 mila dollari per ogni segnalazione. Il premio che Tesla ha messo in palio quest’anno, invece, oltre a svariate migliaia di dollari, è stata la stessa Model 3 della quale si cercavano falle di sistema: ad aggiudicarsi il bottino i due hacker Amat Cama e Richard Zhu, del team Fluoroacetate, non senza prima aver svelato al costruttore di Palo Alto le informazioni necessarie a risolvere il bug che nascondeva l’infotainment.

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