Se il diritto si trasforma in un premio, se il coraggio diviene un lasciapassare e magari la timidezza un guaio, accade ciò che sta accadendo a Rami. Rami, figlio di immigrati, avrà la cittadinanza italiana ad horas per via della scaltrezza, del coraggio, dell’altruismo, del sangue freddo dimostrato durante il drammatico sequestro dello scuolabus di Crema, alle porte di Milano. È il papà che ha avanzata la richiesta, e il Viminale prontamente accoglierà la petizione.

E se Rami, bravo ragazzo, bravo studente, nato in Italia, il Paese dove vivrà, fosse stato appena più timido?

Avrebbe atteso di divenire italiano, come attendono ingiustamente, anni, anni, e anni altri suoi compagni.

Quando il diritto è inquinato dal paternalismo, le regole sono piegate al dominio della morale e non alla disciplina terza di un codice che stabilisca per tutti, a pari condizioni, pari opportunità. Che è l’unica garanzia di ciascuno di obbedire alle regole a cui tutti sono sottoposti.

Invece che chiedersi se sia giusto o sbagliato continuare a negare a chi è nato nel nostro Paese e parla, forse anche meglio di noi, la nostra lingua, ha i nostri usi e costumi il diritto di accedere ai nostri diritti, si conferisce un premio al più coraggioso, come se la Costituzione fosse lo statuto dei boy scout, e si assoggetta il diritto al carattere del premiato.

Chiedo di nuovo: e se Rami fosse stato timido? O solo se non avesse potuto aiutare i suoi compagni? Se fosse stato lui ad uscire per ultimo dal bus, come quella ragazzina impietrita dal terrore che è stata spinta a forza e fatta scendere, il suo diritto a sentirsi cittadino italiano sarebbe venuto meno?

Attendiamo con ansia quale altra prova suppletiva di coraggio debbano superare i compagni di Rami che ancora sono sprovvisti di passaporto. Attraversare nudi un cerchio di fuoco? Sgominare con un colpo di karate una banda di ladri italiani intenta a svuotare il caveau di una gioielleria? Entrare nel Campidoglio e decimare con un’abracadabra corrotti e corruttori?

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