Cinema

Xavier Dolan, il regista di Mommy compie 30 anni. Ed è ora di smetterla di chiamarlo “enfant prodige”

Sfrontata, eccessiva, ribelle, pop. La sua arte è il manifesto di una tra le più importanti voci del cinema contemporaneo. Non ci credete? Ecco tre film che vi faranno cambiare idea

di Marco Colombo

Mommy (2014)

Questo film è l’unico motivo per cui nella nostra breve rassegna non trova spazio la bellezza acerba di J’ai tué ma mère (2009), lungometraggio d’esordio di Dolan. Mommy, infatti, può essere indicato come una versione matura e rovesciata di quella prima gemma d’autore.

Diane “Die” Depres (Anne Dorval) è una vedova squattrinata e segnata dalla vita, mentre il figlio Steve (Antoine Olivier Pilon) è un 15enne problematico e affetto da squilibri mentali. Un ragazzo tanto dolce quanto violento e possessivo. Il loro è un rapporto conflittuale e morboso. Sono liberi di amarsi e odiarsi nel modo più estremo, aggressivo e volatile possibile. Avvinghiati in complesso edipico alimentato da un amore tanto disperato quanto viscerale. A completare questo disfunzionale equilibrio, infine, è Kyla (di nuovo Suzanne Clément), un’insegnante balbuziente e introversa che è tutto l’opposto dei due. Ma che pure quel ciclone rapisce e in qualche modo compensa.

Tre personaggi intrappolati nelle proprie vite, nelle proprie fragilità. Ciascuno con il suo piccolo dramma. In una gabbia emotiva che diventa fisica, incatenando la narrazione a scene che scorrono nel formato 1:1. Un quadrato, strettissimo, dove i corpi si ammassano pur di entrare e soffocare nella stessa inquadratura. Una cella che riflette la claustrofobia dei rapporti che trattiene, saturando l’immagine di elementi e colori, incendiandola con la fotografia di André Turpin. I personaggi appaiono così privati di qualsiasi orizzonte, tallonati da una camera che gli si incolla come neppure i fratelli Dardenne avevano mai osato. Ma è proprio da questo horror vacui che esplode il genio di Dolan. E lo fa con un gesto semplice, che ha commosso Cannes all’anteprima mondiale, regalando al suo autore il Premio della Giuria ex aequo con Adieu au langage (2014) di Jean-Luc Godard. Non proprio uno qualunque.

Mentre sullo sfondo scalpitano echi del “cinema sociale” di Jane Campion, infatti, per qualche istante quelle barriere cedono, allagando lo schermo con l’orizzontalità del 16:9. Una boccata di vita, una leggerezza intima che allontana i cattivi pensieri. Prima di esserne schiacciati. Almeno per un po’.

https://www.youtube.com/watch?v=PoFM4pWCAg0

Twitter: @Ocram_Palomo

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