Di maternità si occupa, invece, Elisabetta Ambrosi. Nel suo post odierno, la giornalista si concentra sulle donne mai diventate madri per colpa di un welfare pressoché assente: “[…] dare il massimo sul lavoro, come ormai ci viene chiesto, e il massimo come madre è una missione titanica già in un Paese pieno di servizi e sussidi, figuriamoci in Italia”. Se per i Nomadi digitali, una possibilità può essere lo smartworking, per le ricercatrici, studentesse, docenti e borsiste precarie del Coordinamento Ricercatrici e Ricercatori NON Strutturati portare avanti parallelamente carriera e vita personale sembra un miraggio: “Lavoro di cura e maternità, ancora in gran parte sulle spalle delle donne, continuano a essere freni materiali al riconoscimento equo del nostro lavoro scientifico durante le selezioni e nell’assegnazione di posizioni di responsabilità”. Il tema è la libertà di crescere professionalmente senza il ricatto del posto di lavoro (quando c’è) in cambio di rinunce sul piano personale. Il discorso vale anche per i padri assegnisti che – spiegano sul blog di Ricerca Precaria – ottengono il congedo parentale “solo in casi estremi come la morte o la grave infermità della madre”.

Eppure spiega l’europarlamentare Elly Schlein, “l’Unione europea ci offre una base giuridica forte per promuovere la piena parità”. Le donne e i movimenti femministi possono davvero imprimere un cambiamento all’Europa a partire dalla rappresentanza femminile all’interno dei parlamenti degli Stati membri. Ma da dove partire per combattere la cultura del sessismo e delle disuguaglianze? Per Monica Lanfranco non si può prescindere dalla scuola e dall’educazione sessuale. Certo, il dilagare dell’hate speech sui social, luogo principale di comunicazione per le giovani generazioni, non ha aiutato a progredire sul terreno del rispetto. Eleonora Bianchini propone un breviario per i maschilisti negazionisti, quelli che “è arrabbiata perché avrà le sue cose”. Provate a pensare a quante occasioni simili capitano nella vostra giornata e rifletteteci. Di body shaming si occupa, invece, Erica Vecchione che chiama a raccolta le “culone di tutto il mondo” contro la cultura dell’apparire (che sui social trova la sua massima espressione) e dell’essere dive a tutti i costi. Anche a dieci anni. La nostra sex blogger Bettina Zagnoli, poi, parla di oggetti per il piacere femminile, un argomento oggi “sdoganato” ma che anni fa necessitava di una certa cautela.

A Susanna Marietti, coordinatrice dell’associazione Antigone per i diritti dei detenuti, abbiamo chiesto di approfondire la condizione delle donne in carcere, le quali rappresentano appena il 4% della popolazione carceraria e passano in media periodi di detenzione brevi, spesso ripetuti. “A tutto questo si aggiunge spesso il baratro, il dolore atroce, il senso di colpa per la lontananza dai figli”, spiega Marietti. Angela Corica, giornalista, infine, ci porta una storia molto forte dalla Calabria: quella di Maria Chindamo, scomparsa il 6 maggio 2016. Oggi sua figlia diciottenne chiede di rompere il velo di omertà che a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, ha avvolto questa vicenda. Qui, scrive Corica, “prevalgono logiche di tipo mafioso che non consentono troppe libertà alle donne”.

INDIETRO

8 marzo, (ri)diamo la parola alle donne. Precarie, prof e militanti: oggi l’agenda dei nostri blog la dettano loro

Articolo Precedente

8 marzo, dal ddl Pillon all’aborto a Desirée e Sana: le minacce ai diritti delle donne che fanno gridare al Medioevo

next
Articolo Successivo

8 marzo, che fine ha fatto il neofemminismo di dieci anni fa?

next