La Germania e i Paesi Bassi hanno tratto enormi benefici dall’euro nei vent’anni trascorsi dalla sua introduzione, mentre per quasi tutti gli altri membri la moneta unica ha rappresentato un freno alla crescita economica. E l’Italia è il Paese in cui la moneta unica ha avuto i maggiori effetti negativi: senza l’euro, tra 1999 e 2017 il pil del Paese sarebbe aumentato di 4.300 miliardi di euro in più, pari a 73.600 euro pro capite. Sono le conclusioni a cui arriva lo studio 20 years of the euro: winners and losers del think tank tedesco Centrum für europäische Politik (Cep), secondo cui i Paesi membri che hanno promosso l’ortodossia di bilancio e criticato il salvataggio dei Paesi più indebitati sono stati i maggiori beneficiari della valuta unica. Dietro l’Italia nella classifica dei più penalizzati c’è la Francia, con una perdita di 56mila euro pro capite. Al contrario, i tedeschi grazie all’ingresso nell’Eurozona si ritrovano più ricchi di 23mila euro pro capite e gli olandesi di 21mila.

Vantaggi e perdite stimati con il metodo del “controllo sintetico” – Il report, firmato da Alessandro Gasparotti e Matthias Kulas, stima i guadagni e le perdite di pil determinati dall’ingresso nell’area euro con un metodo definito “controllo sintetico“. In pratica si tratta di confrontare le performance dei Paesi che sono entrati con quelle di diversi altri Stati (gruppo di controllo) che non hanno adottato l’euro e negli anni precedenti avevano registrato trend economici molto simili a quelli del Paese considerato. Lo studio si concentra otto paesi su 19 dell’area euro, quelli in cui c’è stato un lungo gap tra ingresso nella Ue e introduzione dell’euro, perché negli altri casi il risultato avrebbe potuto essere “distorto dall’ingresso nellUe e nel suo mercato unico”. I ricercatori specificano che il metodo non tiene conto di eventuali riforme messe in campo nei Paesi considerati. 

“L’Italia non ha capito come essere competitiva” – Per l’Italia il gruppo di controllo è costituito da Gran Bretagna (con un peso del 63,2%), Australia (31%), Israele (3,8%) e Giappone (2%), scelti perché nel periodo pre euro avevano pil pro capite non troppo diversi da quelli italiani. L’economia tedesca è stata invece messa a confronto con un paniere che comprendeva il Bahrain, il Giappone e la Gran Bretagna. “In nessun altro Paese tra quelli esaminati”, si legge nella scheda sulla Penisola, “l’euro ha causato simili perdite di prosperità. Questo è dovuto al fatto che il pil pro capite italiano ha ristagnato da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per essere competitiva all’interno dell’Eurozona. Nei decenni prima dell’euro il Paese a questo fine svalutava la sua moneta. Dopo l’introduzione dell’euro questo non è stato più possibile. Sarebbero state necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come queste riforme possano ribaltare il trend negativo”.

Nel 2017 impatto positivo di 280 miliardi per la Germania – Nel solo 2017, sostiene lo studio, il fatto di far parte dell’Eurozona ha avuto un impatto positivo di 280 miliardi per la Germania e un impatto negativo di 530 miliardi per l’Italia, pari a 8.700 euro pro capite. Gli effetti cumulati sulla prosperità nel periodo 1999-2017 – il 1999 è l’anno di debutto dell’euro sui mercati finanziari, anche se come moneta sarebbe entrato in circolazione solo nel 2002 – sono calcolati sommando i dati pro capite di ogni anno e “moltiplicando i risultati per il tasso di consumo medio nazionale del Paese” nel periodo prima dell’ingresso nell’euro.

La Grecia, si legge nel rapporto, “ha guadagnato molto nei primi anni dopo l’introduzione dell’euro, ma dal 2011 ha sofferto enormi perdite. Sull’intero periodo, il bilancio è lievemente positivo, per 2 miliardi o 190 euro per abitante”.

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