Erano almeno in 45mila in piazza contro il premier Pedro Sanchez. Il 10 febbraio è stata la giornata della destra spagnola, ritrovatasi a Madrid per chiedere le dimissioni del presidente, considerato un ‘traditore’ per aver avviato colloqui con i separatisti catalani. La manifestazione, la più partecipata da quando, il 2 giugno 2018, il socialista è diventato presidente del governo, ha riunito il Partito popolare, Ciudadanos e Vox, movimento di estrema destra.

‘Per una Spagna unita, elezioni ora!’, ‘Lunga vita alla Spagna’ sono stati gli slogan più gettonati tra le bandiere sventolate nella centralissima Plaza Colón. I manifestanti (per gli organizzatori addirittura 200mila) hanno chiesto ‘la testa’ di Sanchez, a due giorni dall’inizio del processo in Corte Suprema per i leader catalani accusati di ribellione dopo il referendum indipendentista del 2017. Circa 500 i testimoni convocati, tra cui l’ex primo ministro Mariano Rajoy, la sindaca di Barcellona Ada Colau e il presidente del Parlamento catalano Roger Torrent.

Dietro la protesta di piazza, la proposta del governo di nominare un mediatore nelle trattative per affrontare la crisi catalana, considerata una resa alle pressioni dei separatisti. Proposta rifiutata dagli indipendentisti, ma che comunque ha portato le opposizioni a chiedere le elezioni anticipate.

“Il tempo del governo di Sanchez è finito”, ha detto il leader del Pp Pablo Casado, che ha lanciato un invito agli elettori a boicottare i socialisti alle elezioni europee di maggio. “È ora di tornare all’armonia e alla legalità”, ha aggiunto. Con lui, in posa per una foto quanto meno inedita prima di domenica, Albert Rivera, leader dei Ciudadanos, e quello di Vox, Santiago Abascal, forte di un buon risultato alle elezioni in Andalusia lo scorso dicembre. 

Da quando è arrivato alla Moncloa, sede del governo iberico, prendendo il posto del conservatore Mariano Rajoy, Sanchez sta cercando di allentare le tensioni tra l’autorità centrale e i leader catalani. Ha già incontrato due volte il presidente indipendentista Quim Torra e i membri del suo governo e si è detto disponibile ad aiutare i legislatori catalani ad accettare uno statuto che accontenti il bisogno di autogoverno della regione. Ma venerdì il governo ha bruscamente interrotto i colloqui dopo che il vicepresidente, Carmen Calvo, ha annunciato che l’idea del referendum sull’indipendenza non è tramontata.

La situazione per il premier è diventata ancora più complicata in vista del voto sulla sua proposta di bilancio previsto mercoledì. Sanchez detiene, infatti, solo 84 seggi in Parlamento e per far approvare i disegni di legge deve avere i voti del partito anti-austerity Podemos, dei nazionalisti catalani e di altri piccoli movimenti. Ma i catalani hanno già fatto sapere che il loro voto è condizionato dai colloqui con Madrid, inclusa la questione dell’indipendenza, che invece il governo socialista non tiene nemmeno in considerazione. Un fallimento sulla proposta di bilancio farà aumentare le pressioni sul premier in direzione di elezioni anticipate. Elezioni che, secondo i recenti sondaggi, vedrebbero la vittoria di una maggioranza nazionalista formata proprio da Pp, Ciudadanos e Vox.

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