I ricercatori  dell’Università della California (UC) Berkeley hanno svelato una stampante 3D che crea un intero oggetto alla volta, invece di “costruirlo” strato per strato come fanno i dispositivi oggi più comuni. L’hanno soprannominato “Replicator” in omaggio al dispositivo fantascientifico della saga di Star Trek che materializza qualsiasi varietà di cibo o di oggetto inanimato, partendo dall’energia pura o da una materia inerte. Nel documento pubblicato su Science, i ricercatori spiegano che questa stampante è un passo avanti verso la personalizzazione di massa di oggetti come protesi e scarpe da corsa.

Per capire la novità di questo metodo di stampa 3D è necessario ricordare che una stampante 3D tradizionale costruisce un oggetto in 3D strato per strato. Questo processo ha diversi effetti collaterali, fra cui il fatto che l’oggetto stampato ha degli “scalini” lungo i bordi, che possono costituire punti deboli e compromettere la flessibilità del prodotto finito.

Il professore Hayden Taylor e colleghi hanno ideato il modo per risolvere questo problema, partendo da un oggetto 3D disegnato al computer e riproducendolo “in un colpo solo”. Replicator utilizza un liquido viscoso composto da polimeri miscelati con molecole fotosensibili (sensibili alla luce) e ossigeno disciolto. Questo materiale reagisce alla luce, modellandosi. Il procedimento è piuttosto semplice da descrivere: un barattolo cilindrico con all’interno il liquido viscoso ruota su sé stesso, esponendo tutte le parti alla luce e solidificandosi nella forma desiderata.

In termini tecnici la questione è molto più complessa. Replicator sfrutta, all’inverso, il processo della tomografia computerizzata (CT), il dispositivo per le indagini radiodiagnostiche che riproduce immagini in sezione (tomografia) e tridimensionali di parti anatomiche del paziente. In queste macchine, un tubo a raggi X ruota intorno al paziente e il fascio di raggi X che passa attraverso una sezione corporea permette di comporne l’immagine al computer. Replicator segue il processo inverso: dato un modello computerizzato di un oggetto 3D, i ricercatori calcolano l’aspetto che avrebbe da diverse angolazioni. Compongono delle immagini 2D di ciascuna angolazione e le caricano su un comune proiettore per diapositive. Il proiettore proietta le immagini sul contenitore cilindrico, di modo che coprano tutti i 360 gradi. “Mentre il contenitore ruota, la quantità di luce che colpisce il liquido può essere controllata. Dove supera un certo valore, il liquido diventerà solido“.

 

Tutto grazie al fatto che la sostanza chimica disciolta nella resina assorbe i fotoni e, una volta raggiunta una certa soglia, l’acrilato avvia il processo di polimerizzazione in cui le molecole di resina si uniscono e formano una plastica solida. L’intero processo di esposizione dura circa due minuti per un oggetto di pochi centimetri, come la statuina della celebre scultura di Auguste Rodin “Il pensatore” che vedete nelle immagini. A questo punto il liquido rimanente viene rimosso, lasciando l’oggetto solido 3D. Da notare che il materiale di scarto non polimerizzato è riutilizzabile al 100%.

Tra gli altri vantaggi, si possono creare oggetti che ne racchiudono di esistenti, come il manico di un cacciavite creato direttamente attorno al perno metallico. Il fatto poi che le superfici realizzate sono più lisce di quelle che si ottengono con le tipiche stampanti 3D, permette la produzione di componenti ottici e medicali.

Sono molti i team universitari impegnati in tutto il mondo nella ricerca di metodi per stampare oggetti 3D in una sola volta. Poco tempo fa era stato annunciato un progetto dall’Università del Michigan, che analogamente a questo faceva uso della luce.

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