L’ipotesi di reato è l’omissione di atti d’ufficio. I magistrati della Procura di Roma dovranno stabilire se il 18 gennaio si sono verificate omissioni e ritardi nei soccorsi nel naufragio che costò la vita, secondo quanto raccontato dai superstiti, a 117 migranti. Il fascicolo, per ora a carico di ignoti, è stato aperto alla luce delle carte giunte per competenza dalla Procura di Agrigento. I magistrati siciliani tirano in ballo il Centro di coordinamento di ricerca e soccorso (Imrcc) della Guardia costiera italiana, che ha sede nella Capitale. Gli inquirenti agrigentini sono arrivati ad ipotizzare l’omissione di soccorso per quanto avvenuto la sera del 18 gennaio a 50 km a nord-est di Tripoli.

Ipotesi di ritardi nella macchina dei soccorsi dopo l’avvistamento, nel pomeriggio di quel giorno, da parte di un aereo da pattugliamento marittimo P72 del 41/o stormo di Sigonella dell’Aeronautica, di un gommone in fase di affondamento con circa 20 persone a bordo. Sono le 13.40, ricostruisce La Repubblica. L’equipaggio dell’aereo, dopo avere allertato l’Imrcc di Roma, alla luce delle pessime condizioni del mare, lancia in prossimità del gommone due zattere di salvataggio, che aprono regolarmente. Negli stessi minuti l’aereo della ong che collabora con Sea Watch avvistando dall’alto i barconi in difficoltà capta la conversazione tra la nave militare e la sala operativa di Roma, vede transitare nell’area il mercantile liberiano Cordula Jacob senza avvertirlo e allerta la ong tedesca, che a sua volta chiama Roma e si offre per soccorrere il gommone.

Roma, prosegue il quotidiano capitolino, risponde che il coordinamento dei soccorsi spetta a Tripoli in quanto l’evento Sar sta avendo luogo nell’area Search and Rescue della Libia e non dà informazioni alla ong. Sono le 14.00: sia Roma che Sea Watch chiamano i numeri della Guardia costiera libica, che non risponde. Soltanto alle 15.02 l’Imrcc dirama l’avviso Navitex e allerta tutte le navi nei paraggi spiegando che c’è un gommone che sta affondando e fornendo i numeri di telefono cui contattare i guardacoste di Tripoli. A quel punto Sea Watch viene a conoscenza delle coordinate del’incidente e fa rotta verso il punto del naufragio ma è a una decina di ore di navigazione.

Alle 16,40 la Guardia costiera libica assume il coordinamento dei soccorsi: sono passate tre ore dalla prima segnalazione e il gommone è completamente affondato. Tripoli chiede a Roma di chiamare il cargo liberiano, ma non invia motovedette spiegando di non averne a disposizione. Il Cordula Jacob arriva sul luogo del disastro  alle 21, ma non trova superstiti né cadaveri. All’una di notte arriva anche la Sea Watch 3, ma a quel punto il disastro si è consumato.

I magistrati capitolini sono chiamati ad accertare eventuali responsabilità penali nella gestione degli interventi di soccorso e in particolare su quando è arrivato dal Centro di coordinamento l’allarme al cacciatorpediniere della Marina Caio Duilio (che si trovava a oltre 200 chilometri di distanza) che ha poi disposto il decollo del proprio elicottero SH 90 per inviarlo sul luogo del naufragio. Il mezzo ha recuperato, con due diverse missioni, tre naufraghi in ipotermia: uno dall’acqua e due da una delle zattere di salvataggio precedentemente lanciate dal velivolo dell’Aeronautica. L’altra zattera ispezionata è risultata vuota. Dal racconto dei sopravvissuti è emerso che a bordo del gommone c’erano in totale 120 persone.

Sempre a Roma, intanto, rischiano di finire sotto processo due ufficiali della Marina per il naufragio di una imbarcazione di siriani avvenuto l’11 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, in acque maltesi, nel quale morirono circa 300 tra adulti e bambini. La procura di Roma – come già noto – ne ha chiesto il rinvio a giudizio in quanto ritiene gli ufficiali responsabili di aver colpevolmente ritardato l’intervento della nave militare italiana Libra.

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