“Stracci d’oro”, l’ultima operazione di polizia contro il caporalato in provincia di Cremona nel business redditizio della raccolta di abiti usati, ha suscitato meno clamore della grande retata a Latina del 17 gennaio sullo schiavismo nei campi. Non c’è da meravigliarsi, l’attenzione dei media è ondivaga. Dopo ventiquattr’ore tutto è archiviato. Ma conviene tornare sull’argomento perché nell’effimera fiammata di articoli sul fenomeno brilla preziosa la perla di un commento con richiamo in prima pagina di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Il commento ha un titolo allettante: “L’imbarazzante silenzio sul nuovo schiavismo” e un sottotitolo altrettanto robusto: “Ci accapigliamo sull’arresto di un terrorista latitante, ma non c’è sindacato, associazione, partito che protesti contro lo sfruttamento disumano dei migranti”.

L’articolo merita perché fa parte della categoria: indignazione con la panna montata. L’indignazione semplice (e ipocrita) si esaurisce nel fare finta di scoprire l’illegalità. L’indignazione alla panna montata è più eclatante: si estrinseca in un grido d’allarme “qui nessuno si indigna tranne me!”. Ed è interessante occuparsene perché spiega molto su come in Italia non vengano affrontati fenomeni radicati di sfruttamento e illegalità.

Il punto di partenza è una notizia falsa. Non è vero che nessuno segnali e protesti per lo sfruttamento da caporalato. Sindacati come Cisl e Cgil denunciano e non tacciono affatto, l’associazionismo cattolico come la Caritas o personalità come don Ciotti non tacciono e denunciano al pari di parroci coraggiosi. Ma soprattutto l’Avvenire, il giornale dei vescovi, denuncia sistematicamente il fenomeno di sfruttamento schiavistico che coinvolge extracomunitari, manodopera dell’est europeo e anche italiani. La paga, è bene ricordarlo, è di tre-quattro euro l’ora per una giornata di lavoro che arriva persino a dodici ore. Se poi l’Avvenire non fosse sufficiente per gli indignati-solo-io c’è anche questo papa argentino, che si ostina a parlare di nuove schiavitù e da piazza San Pietro fa sapere che esistono condizioni di lavoro indegne in Italia e non in lontani, esotici paesi.

La questione allora è un’altra: riguarda l’inazione voluta di Stato e classe politica in senso allargato (stampa compresa). Indagare sullo sfruttamento agricolo non è difficile. I campi sono una realtà visibile, non sono conti correnti cifrati nascosti in qualche isola Cayman. Basta monitorare per una settimana con un paio di droni un’intera estensione di appezzamenti, fotografare chi ci lavora (la precisione fotografica oggi è fenomenale) e poi recarsi dai proprietari e fare domande. Chi sono gli individui che stanno lavorando la terra? Dove sono i contratti? Dov’è la documentazioni dei contributi previdenziali?

Ma questo presuppone processi rapidi e spogli di cavilli, processi che puniscano severamente l’ostruzione alla giustizia, processi che interrompano da subito la prescrizione. Processi che puniscano con il carcere l’evasione tributaria. Pene applicate e non condonate né ridotte automaticamente di anno in anno. Pene che si applichino anche alle persone di una certa età, così arzille nella vita privata e improvvisamente fragili quando si tratta di scontare in carcere le proprie azioni criminali.

E’ quello che gli indignati alla panna montata non vogliono vedere perché appena si parla di una giustizia rapida e funzionale all’americana, si mettono a strillare come polli in nome del “garantismo”: parola ignota nelle democrazie liberaldemocratiche dove esistono semplicemente le garanzie processuali, le sentenze e le pene. Ed è qui che si diffonde il terrore dei bravi benpensanti lei-non-sa-quanto-mi indigno, perché essere rigorosi nei confronti del caporalato significherebbe al contempo contrastare con rigore lo sfruttamento del lavoro giovanile, il precariato schiavistico, gli straordinari non pagati, le false partite Iva, le evasioni massicce sulle imposte sul reddito, i contributi e l’Iva.

Così si capisce perché il vice-premier in divisa usurpata Salvini preferisca indicare come pericolo nazionale i migranti, mentre si guarda bene dall’affrontare seriamente – lui e il suo partito – il fenomeno diffuso dello sfruttamento del precariato giovanile, praticato da tanti in terre leghiste. Rendere l’Italia moderna e più giusta non va bene se si tratta di toccare interessi egoistici consolidati. Ha ragione papa Francesco. “La schiavitù non è qualcosa di altri tempi, si manifesta ancora oggi e in molte forme diverse”, ammonisce. Però “sembra che molti non vogliano comprendere la portata del problema”.

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