L’associazione di counseling che il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi chiedeva di eliminare da quelle professionali (previste dalla legge 4/2013) deve essere reinserita. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di AssoCounseling, che rilascia attestati di qualificazione professionale, e ribaltato quanto stabilito dal Tar del Lazio nel 2015. Il tribunale amministrativo ne aveva infatti disposto in primo grado la cancellazione come richiesto dal Cnop, secondo cui soltanto i suoi iscritti all’albo sono titolati a svolgere attività di counseling. Il Consiglio di Stato, visto che la normativa sulle professioni non regolamentate non stabilisce i criteri di eventuali verifiche sostanziali da parte del Ministero sulle associazioni che fanno parte dell’elenco, ritiene che il Tar abbia sbagliato a ritenere che il Mise “avrebbe dovuto svolgere una istruttoria maggiormente approfondita, fino a doversi sincerare se, effettivamente e concretamente, sotto ogni sfaccettatura della caleidoscopica attività di counseling (per come emerge dalla lettura degli atti prodotti nei due gradi di giudizio), si potesse assolutamente escludere l’emersione di tratti di sovrapposizione tra l’attività svolte dal counselor e quella dispiegata dallo psicologo professionista“.

Per Assocounseling è chiaro che la sentenza “non poteva essere dirimente in merito alla diatriba counselor contro psicologi, come abbiamo sempre sostenuto” e aggiunge che, oltre a stabilire il reintegro dell’associazione nell’elenco del Mise“, il Consiglio di Stato “rimanda nel merito alle responsabilità dei singoli professionisti counselor che si trovassero a sconfinare in ambiti riservati per legge ad altri professionisti, in assenza di una regolamentazione statale“. Regolamentazione che il mondo del counseling continua a chiedere, nonostante pochi giorni fa il Ministero della Salute, accogliendo la richiesta dell’Ordine degli psicologi del Lazio, abbia dichiarato riservata agli psicologi la loro attività. “Per noi – spiega la presidente di AssoCounseling Alessandra Caporale – questa sentenza rappresenta un risultato importante per la libertà del sistema delle libere professioni in Italia, arretrato e inadeguato, e che favorisce l’intensificarsi di espressioni corporative distanti anni luce dalla cultura europea e internazionale dei sistemi professionali“. L’associazione ricorda poi che i giudici affermano che “vige il principio costituzionale della tutela del diritto al lavoro” e che “gli interessi di chi appartiene a una categoria in concorrenza non possono trovare tutela”. E che è la Corte costituzionale “ad affermare che il sistema degli ordinamenti professionali […] deve ispirarsi al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, rifuggendo dunque da quella lettura monopolistica proposta dall’Ordine degli psicologi”. Psicologi che, precisa il segretario generale Tommaso Valleri “quotidianamente accusano i counselor di essere pseudoprofessionisti abusivi e da oltre 20 anni formano a pagamento i futuri counselor“. Per Valleri, poi, la decisione del Consiglio di Stato “ribadisce inoltre di come l’attività di counseling si collochi al di fuori dell’ambito clinico e sanitario“, come previsto dalla legge 4/2013.

Un punto cruciale contro cui si batte l’Ordine degli psicologi del Lazio, che anche su ilfattoquotidiano.it ha ribadito come il counseling rientri “a pieno titolo tra le attività tipiche della professione di psicologo ed è attività che non può essere riconosciuta ad una professione non regolamentata”. “C’è il tentativo da parte di associazioni private di fare riconoscere questa professione che in tutto il mondo è sinonimo di psicologia – dice il tesoriere Federico Conte -. I couselor intervengono nelle scuole, anche con i minorenni“. Con questa sentenza, continua, “il Consiglio di Stato non li legittima: si limita a constatare che il Tar nella sentenza precedente si è spinto oltre i suoi limiti e che il Ministero dello Sviluppo non deve farsi carico della verifica dell’associazione. I giudici, però, sottolineano anche che chi ha scritto la legge 4/2013 non è stato chiaro (“non limpida ed immediata percepibilità degli obiettivi che il legislatore si è voluto porre con il varo della l. 4/2013″). Quindi chiediamo che la politica si impegni per modificare questa legge”.

E pur riconoscendo il principio della libera concorrenza, Conte sottolinea: “È un principio che non può riguardare aspetti di tipo sanitario. Cioè: un medico non può competere con un mago. Le evidenze che abbiamo rispetto a inchieste, denunce e racconti dei nostri pazienti mettono in evidenza un quadro allarmante. Si può diventare counselor da un giorno all’altro, senza nessun patentino e preparazione. Iscriversi a un’associazione non dà nessun tipo di garanzia. I counselor si appellano a un codice deontologico che non serve a niente. Perché anche se li cacciassero dall’associazione, continuerebbero a esercitare. Se uno psicologo viola il codice, invece, può essere radiato. E spesso lavorano anche ai margini della fiscalità, senza emettere fatture”. Una regolamentazione della professione di counselor potrebbe mettere fine alla diatriba, ma l’Ordine degli psicologi del Lazio si oppone. “Ci opponiamo perché le problematiche che la loro professione vuole affrontare sono di tipo psicologico, quindi sono la nostra attività”. E a chi vi dice che il vostro atteggiamento è corporativo cosa rispondete? “Noi vogliamo elevare il nostro livello di professionalità e dobbiamo tutelare la salute del cittadino”.

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