“La figura del Counselor non psicologo si pone in palese sovrapposizione con quelle dello psicologo, dello psicologo psicoterapeuta, del dottore in tecniche psicologiche, del medico, del medico psichiatra, del medico psicoterapeuta”. Il Ministero della Salute si è espresso così sull’attività del counseling, che può essere svolta soltanto da uno psicologo e che “ai sensi della Legge 4/2013, è (…) tra le attività che non possono essere riconosciute ad una professione non regolamentata perché rientra nelle casistiche di sovrapposizione con professioni sanitarie”. Il messaggio è stato inviato il 19 gennaio all’Uni, organo impegnato negli ultimi mesi a delineare una normativa per il riconoscimento di questa figura professionale, già regolamentata in tanti altri paesi, attraverso albi, percorsi di formazione e affiancamenti ad altre professioni sanitarie. Non va così in Italia, dove da anni prosegue a fasi alterne il dibattito sulla stesura di una normativa.

Il messaggio del ministero accoglie in pieno quanto richiesto – anche in passato – dall’Ordine degli Psicologi del Lazio che in questi anni si è battuto contro quella che ha definito “pseudoprofessione”. Per il presidente Nicola Piccinini la nota rappresenta “l’affermazione di un importante principio a tutela dei cittadini, della salute pubblica e della categoria degli psicologi. Un traguardo che si sarebbe potuto raggiungere molto prima, se ci fosse stata sin da subito la convinta collaborazione del Consiglio Nazionale e degli altri Ordini regionali, arrivata alla fine solo grazie ad una sollevazione della base degli iscritti, indignati per l’immobilismo del proprio organismo nazionale”. E sottolinea anche che l’Uni è “inidoneo ad affrontare materie tanto delicate” come la regolamentazione della professione del counselor. L’Ordine, poi, si spinge anche oltre, attaccando il tavolo aperto sulla professione dei Life Coach, “un’altra categoria – prosegue – che svolge un’attività sovrapponibile a quella dello Psicologo. Anche in questo caso l’Uni sembra non voler assolutamente recepire i richiami da parte dell’Ordine. Il nostro prossimo obiettivo, dunque, sarà quello di far capire alla politica che assegnare ad un ente privato la normazione delle professioni non regolamentate è un errore e, soprattutto, un possibile motivo di rischio per la salute dei cittadini”.

Al momento gli scenari possibili sono soltanto ipotesi, ma il direttivo del Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti su Facebook ha specificato: “Chiariamo che attualmente il tavolo Uni è tuttora aperto. Così come è già accaduto anni addietro, il Ministero della Salute ha chiesto a Uni la sospensione del percorso di normazione della figura del Counselor rispetto al quale stiamo lavorando con le altre associazioni” e aggiunge che “a breve vi presenteremo un percorso di informazione giuridica sull’attuale quadro normativo inerente la professione del Counselor“. Alcune scuole di counseling riferiscono a ilfattoquotidiano.it di non avere ancora ricevuto indicazioni dalle associazioni professionali e che, con la prosecuzione del tavolo di lavoro di Uni, si attribuirebbero funzioni molto precise alla professione “limitando l’approccio” rispetto a quello dello psicologo. “Stiamo tutti perdendo tempo e privando la nostra categoria professionale della norma Uni che, ricordo, è prevista dalla Legge 4/2013”, spiega Alessandra Caporale, presidente di AssoCounseling, che sottolinea come la nota sia stata inviata “basandosi unicamente sulle informazioni fornite dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) e dell’Ordine degli Psicologi del Lazio”. Una scelta inaspettata. “Nessuno di noi – dice – si sarebbe mai immaginato che il Ministero avrebbe prodotto quella nota senza interpellare prima le associazioni di categoria, ovvero la controparte dell’Ordine degli psicologi. È indubbio che ci sia un po’ di scoramento, ma è altrettanto indubbio che sono anni che stiamo lottando per affermare il nostro diritto ad esercitare e non siamo intenzionati a fermarci proprio ora”.

Caporale spiega che tra le difficoltà principali nel processo di normazione ci sono “un atteggiamento corporativo e protezionistico da parte dell’Ordine degli psicologi che sta andando pericolosamente nella direzione di far passare il concetto che solo gli psicologi e, più in generale, le figure sanitarie possano occuparsi di “benessere””. Una scelta che, da una parte, “lede la libertà del cittadino rispetto alla scelta del  professionista a cui rivolgersi, dall’altra tende a sanitarizzare ogni settore delle relazioni umane”. A questo si aggiunge la particolarità dell’Italia, “uno dei pochi paesi al mondo a conoscere gli Ordini professionali e, più in generale, a prevedere in contemporanea sia la protezione del titolo professionale sia l’esclusività di alcune funzioni professionali. Nel resto del mondo la categoria dei counselor “convive” con la categoria degli psicologi“.

Un altro tavolo per normare la professione era stato chiuso nel 2015 proprio su richiesta del Ministero della Salute, lo stesso tavolo che oggi l’Uni ha deciso di riaprire e “oggi, come ieri – prosegue la presidente di Assocounseling – ci siamo ritrovati il CNOP in pressing sul Ministero”. Ma oltre a questo ambito di discussione, continua Caporale, c’è la “Consensus Conference indetta dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi e tuttora formalmente in piedi, dove la nostra associazione da mesi si confronta con l’Ordine degli psicologi, quello dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali e con altre associazioni di psicologi, oltre al mondo dell’università”.

Al di là del messaggio del Ministero, che al momento non comporta dirette conseguenze sul piano operativo, a preoccupare il mondo del counseling è anche il passaggio finale del post dell’Odp del Lazio secondo cui ora “fare counseling senza essere iscritti all’Ordine è fare abuso della professione“. “Questa posizione non è assolutamente condivisibile – conclude Caporale -. I counselor continueranno a esistere e a lavorare nonostante la nota del Ministero della Salute. Nota che, ricordiamo, non vincola Uni, che può anche decidere – e noi lo speriamo – di proseguire nel lavoro di normazione. Non è pensabile cancellare un’intera categoria professionale con una nota e, ad oggi, il legislatore non si è mai pronunciato su questa vicenda che ormai va avanti dagli anni ’90”.

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