Un nuovo anno va salutato nel migliore dei modi possibili, ed è per questo che desidero aprire il 2019 tornando a occuparmi di una delle più belle carriere liriche dei nostri giorni, quella del tenore Leonardo Caimi.

Attualmente impegnato a Lipsia (dove aveva già debuttato con Turandot) in una nuovissima Carmen dove riveste, come di consueto, i panni del protagonista maschile, Don José, Caimi porta alto il buon nome della tradizione lirica italiana di cui è rappresentante oramai indiscusso sui palcoscenici internazionali. Notevoli le differenze tra il sistema lirico-produttivo italiano e quello, tra i diversi d’oltralpe, tedesco, come numerose le diversità che un cantante, anche se ampiamente navigato, deve trovarsi ad affrontare: “La diversità c’è – ci conferma Caimi – Mi sento italiano per quanto riguarda la capacità inventiva, ma non per quel che concerne una certa disorganizzazione e quel ‘tanto ce la caviamo lo stesso’ che si avverte spesso in Italia”.

È proprio il ruolo di Don José uno di quelli che Caimi ha maggiormente interpretato, uno di quelli coi quali è più cresciuto, tanto vocalmente quanto attorialmente, uno di quelli che gli hanno consegnato la notorietà e la stima dell’intero mondo melodrammatico: “Don José – afferma Caimi – è personaggio complesso, ci vorrebbero due tenori per cantarlo, uno lirico pieno per il primo e il secondo atto, uno spinto per il terzo e il quarto. Interpretativamente è straordinario, ogni volta che lo faccio scopro qualcosa di nuovo. In un certo senso è un personaggio più variegato rispetto a quello di Carmen: comincia come un ragazzo semplice, lontano dal paese natio, per finire a commettere una serie di azioni che lo condurranno verso la rovina. È una discesa verso le tenebre che in qualche modo commuove, perché è un pericolo a cui siamo costantemente esposti tutti: basta una scelta sbagliata e ti puoi rovinare la vita”.

Un’opera, la Carmen di Georges Bizet, al centro, esattamente un anno fa, di polemiche varie quando a Firenze, per dare un segnale contro la violenza di genere, si decise di cambiarle il finale, trasformando la protagonista femminile da vittima in carnefice. Una revisione che fece infuriare melomani d’ogni sorta, offesi da quella che, pur positiva nelle intenzioni e nelle premesse, si presentò ai loro occhi quale strumentalizzazione senza senso: “Non ho visto la Carmen di Firenze – afferma Caimi -, dunque non posso esprimermi in merito. A ogni modo non è la prima volta che Carmen viene utilizzata come simbolo del femminismo. In teatro si può fare tutto, e in linea di massima non mi scandalizzo facilmente. Allo stesso tempo mi dispiace però che non si comprendano opere di questa grandezza: ridurle a fatti di cronaca, quale quello, assolutamente scottante e certamente importante, del femminicidio, è a mio avviso poco fruttuoso. Raccontando una storia di femminicidio si distrugge la grandezza del personaggio di Carmen. Carmen è il contraltare femminile di Don Giovanni, non la si può paragonare alla dimensione di una ragazza normale che infine viene uccisa”.

Altro personaggio che Caimi riveste oramai da tempo è quello di Cavaradossi, protagonista maschile della grande Tosca di Giacomo Puccini, ruolo che il tenore italiano di origini calabresi interpreterà, nel 2020, alla Royal Opera House di Londra, teatro dove ha recentemente debuttato sempre nel ruolo di Don José della Carmen: “Il Covent Garden – dice Caimi – è un teatro meraviglioso, dove sono stato accolto in un modo per me indimenticabile con la Carmen. Tornerò nella stagione ‘20-‘21 per una nuova produzione de Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach e per Tosca”.

Una carriera in ascesa, quella di Leonardo Caimi, che va in parallelo, così come ho già rilevato in un recentissimo articolo pubblicato proprio su queste stesse pagine, con una significativa ripresa, negli ultimi due anni e in termini quantitativi, delle produzioni operistiche dei festival di settore italiani, aumentati numericamente e così più vicini agli standard di paesi quali Germania e Austria: “Senza la quantità non ci può essere la qualità – afferma il tenore calabrese -: più ci sono opere più aumenta la possibilità che ci siano cose di valore, e questo è indiscutibile. Soprattutto d’estate difficilmente ho visto le arene vuote: parlo, per esempio, di Macerata, Verona, Torre del Lago e Pesaro, dove ho sempre visto tanta gente. Credo che da un lato gli uffici stampa dei teatri, spronati anche dalla crisi degli ultimi anni, stiano lavorando con maggiore impegno. Dall’altro lato c’è però una ragione più ampia, quasi ancestrale: il teatro esiste da sempre e corrisponde a un’esigenza umana profonda, che è quella di poter vivere di più, di vivere altre vite. Il teatro dal vivo, nonostante altri mezzi quale quello cinematografico, non può morire”.

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