Siamo ad una svolta epocale. Chi ha studiato l’uso del gilet per ottenere visibilità politica meriterebbe un Nobel in Semantica, se esistesse. Ci manca molto Umberto Eco, che sicuramente avrebbe letto e spiegato questo fenomeno in maniera esemplare. Ci manca molto Zygmunt Baumann, che avrebbe ritrovato negli eventi la solidità delle sue teorie. Ci manca molto Gianroberto Casaleggio che avrebbe urlato Eureka, perché anche le sue idee avrebbero trovato una spiegazione in tutto ciò che accade e che sempre di più accadrà.

Il gilet, di plastica, anonimo, semplice da rintracciare, facilissimo da indossare, ha sostituito le bandiere, i vessilli e gli striscioni, riuscendo nella sua semplicità a rendere visibile l’agire apolitico che non ha una sostanza ideologica e neanche l’ingombrante ruolo delle leadership.

Io per la verità avevo intuito nel 2010 l’importanza degli indumenti tecnici nell’agire politico alle prese con i moderni social. Avevo proposto ai politici locali e ai cittadini della mia città, alle prese con una lotta di resistenza sull’ospedale locale, di realizzare una manifestazione indossando i camici bianchi. Operazione riuscitissima, visibilità totale sui media e social, ma l’Ospedale a Trani lo hanno chiuso comunque. I gilet, i camici, sono ottimi strumenti per ottenere il massimo di visibilità mediatica: una marea colorata di giallo, o di arancione o chissà in futuro di verde, realizzata con i gilet, ha un significato potente e supera qualsiasi forma di invasione di piazze e strade occupate da bandiere.

Il gilet, poi, diventa la pelle di plastica della rabbia civica, si deve indossare, non si può innalzare. Diventa la leggera corazza medioevale dentro la quale rifugiare la propria identità, assemblandosi in enormi schiere pronte a fronteggiare qualsiasi nemico. Non ha alcunché di romantico, come la bandiera ed è algido individualmente ma emoziona quando assume la conformazione di sciame, folla, massa. Ha preso velocemente il campo, perché, sicuramente d’ora in poi qualsiasi rivendicazione sarà “ingilettata”, con colori ad hoc utili allo scopo.

E’ la nuova arena della politica, di cui si parlerà a lungo, perché il gilet non è né di destra o di sinistra e dentro un gilet ci entrano comodamente tutti senza grossi impegni o giustificazioni da dare. Lo si è visto a Bari, dove accanto al ricco latifondista ci vedevi il povero bracciante, dove il sindaco di destra andava a braccetto con quello di sinistra, dove il colore del gilet scioglieva qualsiasi incrostazione ideologica, come l’acquaragia che toglie le macchie di colore dalla parete della sede. Arancione, non rosso, non giallo, non verde e neanche nero.

Certo, solo quel colore poteva dare il senso del lavoro, concretamente, e gli organizzatori lo hanno intuito meravigliosamente. Prepariamoci dunque ad indossare il nostro gilet in attesa del gilet arcobaleno che prima o poi spunterà e forse metterà fine allo scempio di disumanità cui stiamo assistendo in questi giorni. La politica finalmente ha trovato la sua dimensione plastica… anzi di plastica!

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