Che l’attività online di ciascun utente sia di pubblico dominio si sa, così come che la condivisione di informazioni possa avere delle conseguenze spiacevoli. Dalla Cina arriva una prospettiva particolarmente inquietante. Entro il 2021, a tutti i residenti di Pechino verrà assegnato un punteggio “social” – anche in base alle attività online – che comporterà privilegi e limitazioni.

Un esempio estremo di controllo di massa lontano dalla cultura occidentale e dalla tutela dei diritti dei cittadini di cui beneficiamo in Europa. Ma non per questo da sottovalutare. In un certo senso ci riguarda, nella misura in cui fa capire quanto l’attività digitale possa avere effetti collaterali concreti nella vita reale. Tornando ai piani del governo cinese, le persone con un basso punteggio saranno ritenute “indegne di fiducia” e pertanto passibili di punizioni e limitazioni. Prima fra tutte, il divieto di viaggiare in aereo o su treni veloci, di iscrivere i propri figli a scuole di un certo livello, e di accedere a Internet.

Foto: Depositphotos

 

Come distinguere i buoni dai cattivi? Semplice: attingendo a man bassa da quello che i cittadini, spontaneamente, pubblicano. I donatori di sangue guadagnano punti nella inquietante “graduatoria” governativa. Lo stesso vale per chi fa volontariato. Azioni positive e da imitare, quindi premianti. Chi, invece, prende una multa perde punti, perché evidentemente la sua azione è stata riprovevole, e l’aver pagato la contravvenzione non è sufficiente per espiare la colpa. Va da sé, visto che parliamo di regime, che pubblicare qualsiasi contenuto sgradito alle autorità faccia perdere punti. Le azioni singole non sono l’unico metro di valutazione: se fra i propri “amici social” ci sono persone che hanno “meritato” un punteggio basso, si perdono punti. Un’applicazione al limite del maniacale del nostro proverbio “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei“.

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Posto che oggi non abbiamo motivo di temere che ci accada qualcosa di analogo a quanto descritto sopra, è comunque bene prestare attenzione a quello che si pubblica. I profili social vengono spesso consultati dai potenziali datori di lavoro quando ci si candida per una posizione. Ci sono stati casi in passato in cui i post su Facebook sono stati usati per valutare l’integrità morale di insegnanti o educatori.

Quindi bisogna mentire online? No, basterebbe essere un po’ più riservati, ed evitare di mettere sulla piazza mediatica tutto quello che si fa e che si pensa, minuto per minuto.

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