“Per Virginia è come aver vinto di nuovo le elezioni”. Il commento a caldo, e non senza un pizzico di emozione, è di Alessandro Mancori, uno dei tre avvocati che hanno seguito Virginia Raggi nel processo per falso documentale, conclusosi con l’assoluzione. Il legale è colui che da più tempo ha accompagnato la sindaca di Roma sin dalla campagna elettorale del 2016. “Questa donna è stata trattata in un modo indicibile”, ha aggiunto. Considerazioni che qualcuno derubrica a “dettate dal clima di festa” che ha accompagnato la sentenza pronunciata dal giudice monocratico Roberto Ranalli, ma che altri suggeriscono possano essere lette in una chiave politica, visto il rapporto personale fra Mancori e la prima cittadina. È un fatto, d’altronde, che ultime settimane i lavori in Campidoglio – e forse non solo – siano stati fortemente condizionati dalla spasmodica attesa della sentenza, che in caso di condanna avrebbe determinato in ogni caso una crisi politica, così come altre questioni sono state rinviate a “dopo il processo” durato, in fin dei conti, dalla primavera all’autunno.

LA RIPARTENZA POLITICA E I SOLDI DEL GOVERNO – Il concetto è confermato da Andrea Coia, consigliere comunale “di peso” nel gruppo pentastellato, presente insieme a diversi suoi colleghi nell’aula della X sezione penale del Tribunale di Roma. “Era un fardello di cui ci siamo liberati – ha spiegato –. Per quanto si può essere tranquilli e fiduciosi, è normale che un procedimento penale preoccupa chiunque, lo ritengo naturale e non c’è bisogno di prenderci in giro. Abbiamo sempre lavorato, ma la spada di Damocle c’era ed era ingombrante”. Le parole del presidente della Commissione commercio combaciano con i retroscena delle ultime settimane che raccontano di un probabile rimpasto in Giunta. “Ci sono situazioni di efficienza e altre di non efficienza. Correggere in corsa è sempre possibile e la sindaca lo ha sempre ammesso. Penso che anche sul fronte dei dirigenti, per quanto sia più complicato, bisognerebbe rimettere un po’ le mani”. Il riferimento è soprattutto sul tema dei rifiuti, che preoccupa non poco l’amministrazione: “Se ci si mettono anche i lavoratori a boicottarci, non se ne esce”. E se anche Roberta Lombardi, capogruppo in Regione Lazio del M5S, ha lasciato intendere come l’amministrazione abbia bisogno di ripartire (“l’assoluzione della sindaca sia per l’amministrazione capitolina l’opportunità per voltare pagina e procedere con un rinnovato impulso per il bene di Roma”), qualcun altro dei consiglieri si toglie qualche sassolino dalla scarpa: “A questo punto – dice una delle elette – mi aspetto che i nostri ministri al Governo stiano più vicini a Virginia. È stata mollata? No, ma forse qualcuno era pronto per smarcarsi”. Il riferimento, chiaro e non negato, è ai 180 milioni di euro per la manutenzione stradale promessi al Campidoglio e mai inseriti dal ministro Giovanni Tria nel documento finanziario. “Magari avevano paura di dare soldi a un sindaco diverso”, è stato aggiunto, mentre si faceva notare che a “festeggiare” la sindaca a piazzale Clodio ci fossero soltanto politici capitolini.

IL FATTO C’È STATO MA NON COSTITUISCE REATO – Tornando alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, la vittoria non è in discussione ma non è piena “al 110%”. “Si può sempre fare meglio, ma diciamo che va bene così. Abbiamo chiesto l’assoluzione e l’assoluzione abbiamo ottenuto”, ha commentato l’avvocato Pier Francesco Bruno. In attesa di leggere le motivazioni – che arriveranno entro 90 giorni – la lettura su cui convergono i legali è che il giudice abbia voluto intendere che l’affermazione nel documento inviato all’ufficio anticorruzione del Comune (“Raffaele Marra ha avuto un ruolo compilativo” nell’interpello per le nomine dirigenziali) era effettivamente falsa, ma non c’è stato il dolo, magari perché la sindaca non era a conoscenza di ciò che era avvenuto alle sue spalle. Come non sapeva che quella di Renato Marra era di fatto una promozione, perché in termini economici sarebbe andato a compensare il mancato salto di livello in Polizia Locale, al quale la stessa Raggi si era opposta poche settimane prima. Ma il fatto “sussiste”, e questo era un requisito indispensabile affinché non naufragasse un altro processo istruito sempre dai pm Francesco Dall’Olio e Paolo Ielo, quello da poco iniziato che vede Raffaele Marra imputato per abuso d’ufficio proprio nella procedura di nomina del fratello, a questo punto “alle spalle della sindaca”.

IL PARAGONE CON ‘MAFIA CAPITALE’ E LA QUESTIONE DEI “PESI” – Di certo, più volte durante il dibattimento è stata evidenziata la sproporzione della gravità del reato di falso documentale (nella fattispecie) con le indagini di solito portate avanti in questi anni dal procuratore aggiunto Paolo Ielo nei confronti dei rappresentanti degli enti locali romani. Una “questione di pesi” evidenziata dallo stesso pm che ha istruito processi come Mafia capitale e stadio della Roma. “Ho apprezzato il paragone – ha detto l’avvocato Mancori fuori dalla città giudiziaria – non discuto la rilevanza mediatica che viene data al sindaco di Roma, ci mancherebbe, ma qui si è esagerato. Sono stati tagliati servizi giornalistici in maniera incomprensibile, ma non abbiamo mai potuto difenderci mediaticamente, dovendo rispettare le aule di giustizia. Virginia dice di essere uscita a testa alta? Se lo merita”. Lo stesso Ielo, durante la requisitoria di ieri, aveva confessato che “ho iscritto la sindaca nel registro degli indagati in questi due anni decine e decine di volte e nessuno se ne è accorto. Stavolta il peso di questo processo è diverso, ma non è colpa dei protagonisti, bensì di fattori esterni”.

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