I droni saranno preziosi anche per la ricerca di escursionisti dispersi nelle foreste. Un’altra dimostrazione di quanto possa essere utile questa tecnologia relativamente nuova, che facendo a meno del GPS riesce a esplorare il terreno nascosto dalle chiome degli alberi di una fitta foresta. In queste situazioni, infatti, il navigatore satellitare è inservibile, e individuare escursionisti che si sono persi diventa un processo lungo e difficile.

È qui che scende in campo, anzi, si alza in volo, una nuova tecnologia sviluppata dal Massachusetts Institute of Technology (MIT). Sfrutta flotte di droni autonomi che portano avanti un tipo di ricerca definita “collaborativa”, ossia che lavorano in gruppo condividendo dati e comunicando senza fili fra loro e con la stazione di terra.

Ciascun drone è autonomo ed è equipaggiato con particolari laser chiamati LIDAR che gli permettono di calcolare la stima della posizione, la localizzazione e la pianificazione del percorso. Per intenderci, i LIDAR (acronimo inglese di Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging) sono gli stessi montati sulle auto a guida autonoma in test per esempio da parte di molte case automobilistiche. Questi laser fanno una scansione bidimensionale degli ostacoli “sparando” raggi laser e misurando gli impulsi che vengono restituiti. A che cosa serve? Semplice: usata per rilevare gli alberi, questa tecnica consente al drone di “riconoscere” gruppi di alberi, quindi di capire se l’area è già stata esplorata.

Mentre vola, il drone crea una mappa tridimensionale del terreno. Degli algoritmi (ossia dei programmi software) identificano quindi le aree inesplorate distinguendole da quelle in cui la ricerca è già stata effettuata, in modo da aggiornare continuamente la mappa completa in tre dimensioni di un’area. Gli alberi appaiono come blocchi di tonalità colorate dal blu al verde, a seconda dell’altezza. Le aree inesplorate sono scure, e diventano grigie man mano che un drone le sta mappando. Il software di pianificazione del percorso installato a bordo indica a ciascun drone le aree da esplorare. I dati così creati vengono passati ai soccorritori umani, che si baseranno su queste informazioni per cercare i dispersi.

I test sono stati condotti schierando in volo due droni sopra a un’area boschiva all’interno del Centro di ricerca Langley della NASA. Ciascun drone ha mappato un’area di circa 20 metri quadrati in un tempo che è variato da 2 a 5 minuti e ha creato contestualmente le mappe. I droni hanno anche ottenuto buoni risultati cambiando parametri quali la velocità e il tempo a disposizione per completare la missione, il rilevamento delle caratteristiche forestali e la fusione delle mappe.

Foto: Depositphotos

 

La ricerca verrà presentata nel corso del Simposio internazionale sulla robotica sperimentale che si terrà questa settimana a Buenos Aires. L’obiettivo è arrivare a un livello di sviluppo in cui i droni siano dotati di sistemi per il rilevamento che gli permettano di identificare direttamente un escursionista scomparso. A questo punto basterebbe comunicare la sua posizione ai soccorritori affinché predispongano la missione di salvataggio.

Il primo autore dello studio, Yulun Tian del dipartimento di aeronautica e astronautica (AeroAstro) del MIT; spiega che l’obiettivo è “sostituire gli umani con una flotta di droni per rendere più efficiente il processo di ricerca e salvataggio”.

Chi si intende un po’ di droni starà pensando che l’idea è interessante, ma che all’atto pratico qualcosa non torna perché di solito un drone vola solo su brevi distanze. I ricercatori hanno risolto questo problema facendoli volare a spirale e a una velocità costante, coprendo velocemente ogni singola area di ricerca. Un particolare rilevante, perché come spiega Tian, “nelle missioni di ricerca e soccorso il tempo è molto importante”.

L’unico vero inconveniente al momento è che i droni devono comunicare con una stazione di terra per trasmettere la propria porzione di mappa. Durante i test i ricercatori hanno dovuto installare apparecchiature di rete (router) per collegare i droni fra loro e alla stazione di terra. Capite che in una situazione reale è impensabile farlo. In futuro è prevista una fase di sviluppo in cui i droni potranno comunicare fra loro in modalità wireless non appena si avvicinano l’un l’altro. La stazione di terra in questo caso servirebbe solo per tenere aggiornata la mappa globale.

L’ennesima dimostrazione di come il progresso tecnologico possa concretamente aiutarci non solo a migliorare la nostra vita, ma anche salvarci nei momenti di difficoltà.

Articolo Precedente

Frate Indovino sbarca su Amazon Echo, l’assistente vocale vi ricorderà onomastici e proverbi

next