Per le elezioni di midterm del 6 novembre, la strategia dei democratici è quella del mosaico, in cui l’ideologia conta meno della freschezza dei volti, in cui quelle che un tempo venivano definite minoranze (donne, omosessuali, neri, nativi, musulmani) conquistano la scena, in sintonia con un’America sempre meno bianca e quindi monolitica. Il partito dà spazio ai candidati locali, invia fondi da Washington ma lascia che siano le singole campagne a decidere come spenderli. E batte – a Washington e in periferia – soprattutto su sanità, tasse e scuola per riconquistare classi popolari e media borghesia. Ecco alcuni dei protagonisti della corsa.

L’articolo integrale di Roberto Festa, con le schede complete dei candidati dem, è su Fq Millennium di ottobre, in edicola fino al 9 novembre

Alexandria Ocasio-Cortez (nella foto)

In assoluto è stata la vera sorpresa delle primarie democratiche 2018. È stata la candidata che ha reso palpabile l’ascesa di una nuova classe dirigente progressista. Pochi, prima del voto, avrebbero puntato su questa 28enne di fede socialista, attivista per Bernie Sanders nel 2016, padre del Bronx e madre portoricana, laurea in Economia, una grande passione per la biologia, ex editrice di libri per bambini, barista per necessità in un tacos bar a Union Square.

Praticamente certa la sua vittoria a novembre (il suo rivale è un professore repubblicano che non sta nemmeno facendo campagna). Dunque, se vi saranno importanti sconvolgimenti e colpi di scena, Bronx e Queens mandano a Washington una delle probabili protagoniste della politica progressista dei prossimi anni. Vedremo se alle buone premesse seguiranno anche le necessarie vittorie.

Andrew Cuomo

Il due volte governatore dello Stato di New York era il nemico da battere della sinistra democratica. «Amico dei poteri forti», «finanziato da Wall Street», «rotto a ogni compromesso»: erano queste le accuse che gli muoveva la rivale Cynthia Nixon, già Miranda di Sex and the City. In realtà, Cuomo è stato rivotato dagli elettori democratici con percentuali bulgare e tornerà per la terza volta a fare il governatore (in attesa, forse, di una sua candidatura alle presidenziali 2020?).

Stacey Abrams

Nel 1961 Ray Charles cancellò un concerto ad Augusta, Georgia, perché la sala era composta unicamente di bianchi. Quasi sessant’anni dopo un’afro-americana cerca di diventare governatrice di uno degli Stati dove più terribile è stata la segragazione razziale. Quarantacinque anni, Stacey Abrams è cresciuta in Mississippi, ha studiato a Yale e mosso i primi passi nella politica e nel mondo degli affari ad Atlanta. Abrams punta al voto di giovani e minoranze e a quella borghesia bianca e rurale che potrebbe risultare sensibile al tema forte della sua campagna: allargare l’assistenza sanitaria. Secondo alcuni il suo è un tentativo disperato. Per altri ce la può fare puntando su pragmatismo e dialogo.

Conor Lamb

Lamb the Sham”, Lamp il fasullo. Così in una precedente campagna elettorale Donald Trump chiamava Conor Lamb. In realtà, di fasullo sembra avere molto poco questo serissimo 33enne, ex marine ed ex procuratore federale, che cercherà di conquistare un seggio per i democratici alla periferia di Pittsburgh. Lamb è uno dei volti più nuovi dei democratici – «un viso che pare uscito da un casting», lo hanno spesso descritto i giornali – senza però avere molto di sinistra. Decisamente pro-armi, contro l’aborto, per tagli consistenti alle tasse, ciò che dovrebbe piacere all’elettorato conservatore del suo collegio. A favore dell’assistenza sanitaria pubblica e per il college gratuito, altri temi cari alla classe media di cui cerca il voto.

Christine Hallquist

Non si prevedeva granché di eccitante per le primarie in Vermont. Per la carica da senatore dello Stato la corsa è come sempre monopolizzata da Bernie Sanders. Al posto di governatore pareva certa la riconferma di Phil Scott, un repubblicano pro-aborto e anti-armi, politicamente commestibile in uno Stato a tendenza progressista.

Boschi, villaggi e campus del Vermont sono però diventati un caso nazionale quando i democratici hanno nominato, come candidata a governatore, Christine Hallquist, transgender di 62 anni. Non è sola. Il prossimo novembre ci saranno più di 400 candidati LGBT.

Jahana Hayes

Barack Obama l’ha nominata “insegnante dell’anno” nel 2016. Prima di allora, nessuno nella politica americana aveva sentito parlare di Jahana Hayes, insegnante di sostegno in un distretto scolastico poverissimo a Waterbury, Connecticut. Nei comizi racconta spesso di come è cresciuta: in una casa poverissima, con una madre eroinomane, lei stessa, Jahana, madre del suo primo figlio a 16 anni. È arrivata testardamente alla laurea mentre, per mantenersi, faceva contemporaneamente tre lavori diversi. L’istruzione sarà, manco a dirlo, il tema forte della sua campagna elettorale che si preannuncia intensa e interessante da seguire.

Rashida Tlaib

Lei ha già vinto. Il 13esimo distretto del Michigan è così blu, così democratico, che i repubblicani nemmeno si presentano. Pertanto è già certa la vittoria della candidata dem: Rashida Tlaib, avvocatessa di 42 anni, madre single di due figli, figlia a sua volta di operai palestinesi che lavoravano nell’industria dell’auto di Detroit. A novembre sarà la prima musulmana a entrare al Congresso. La sua fede socialista si riflette nel programma: sanità universale, minimi salariali a 15 dollari all’ora. Vuole anche l’abolizione dell’Ice, l’agenzia che si occupa di identificare, detenere, deportare i migranti.

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