Si è conclusa sabato sera ad Aversa la 14esima edizione del Premio Bianca D’Aponte, manifestazione dedicata alla canzone d’autore al femminile. Per ciò che riguarda il concorso, ha fatto incetta di premi la cantautrice siciliana Francesca Incudine, fresca vincitrice della Targa Tenco per l’album in dialetto. A lei sono andati il premio assoluto e quello della critica “Fausto Mesolella”, in questo caso a pari merito con la partenopea Irene Scarpato. Da segnalare in particolare almeno un altro paio di finaliste: la brava Chiara Raggi, che ha vinto un contratto di produzione messo a disposizione da Mariella Nava; Giulia Pratelli, che con la canzone Non ti preoccupare ha vinto il premio per il miglior testo.

Io non posso far altro che ripetere qui quello che penso da tempo: il Premio Bianca D’Aponte è un miracolo. Sono passati dieci anni esatti dalla prima volta in cui vi misi piede. Sono andato a ricercare la primissima recensione che ne scrissi, l’indomani. Eccola qua. È incredibile costatare come non siano cambiate le cose più importanti, che caratterizzavano e caratterizzano questa manifestazione.

Partiamo dai presentatori. Allora Roberta Balzotti e Sandro Petrone; oggi Carlotta Scarlatto e Ottavio Nieddu. I presentatori sono importanti, perché rappresentano l’“interfaccia” di un evento, di tutto il lavoro e la disciplina che sta dietro. Oggi, come dieci anni fa, le artiste sono state presentate con approfondimento artistico e leggerezza, curiosità e competenza. Le ragazze finaliste, con il loro mondo musicale, sono così apparse davvero il centro di tutto. Vi assicuro che non sempre succede.

Poi ci sono stati gli ospiti. Qui parlerò di quelli del sabato sera, in cui ero presente. Anzitutto la madrina dell’edizione 2018, Simona Molinari. Lei è brava, una delle migliori performer italiane; è salita sul palco con una fastidiosa tracheite, che però non le ha impedito di eseguire un paio di pezzi molto coinvolgenti, fra cui il brano Il bagarozzo re, uno dei più intelligenti di Bianca D’Aponte. Merita certamente una menzione speciale Elena Ledda, soprattutto per la traduzione in lingua sarda della delicata Ninna Nanna in re, sempre di Bianca. Per via della bravura della cantante e della bellezza del brano, è stato uno di quei casi in cui davvero non conta molto non capire la lingua in cui si canta: l’emozione passa e ti inchioda.

Chiudo citando il set di quel grande autore che è Carlo Marrale. Lui ha scritto alcune delle più belle canzoni della storia italiana: da Stasera… che sera a Ti sento, passando per C’è tutto un mondo intorno, Per un’ora d’amore o Vacanze romane. Musicista di razza, le ha eseguite sul palco con chitarra classica sola o accompagnato, fra gli altri, dal direttore artistico Ferruccio Spinetti al contrabbasso. Le belle canzoni, quando sono davvero tali, non hanno bisogno di tanti fronzoli: fermano il tempo e descrivono in tre minuti un immaginario comune. Marrale ha ricevuto una meritatissima standing ovation. Si è commosso e ha così ricordato a tutti – in simili prosaici tempi – cosa sia la bravura e l’umiltà, accompagnate da un’antica ed emozionante cordialità.

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