Qualche giorno fa è stato eseguito un delicatissimo trapianto facciale all’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Confesso di essermi commosso leggendo la cronaca, l’incredibile impegno di questi medici, gli anni di studi, la preparazione, i rischi del mestiere. Ventotto ore di intervento, l’impegno per ridare vita e speranza al paziente. Poi leggo che un giovane chirurgo dell’equipe, un quarantenne di Crotone, è costretto a lavorare senza un contratto, a 2mila euro lordi al mese. È accettabile? Che Paese è il nostro che non sa valorizzare risorse del genere? Che anzi le umilia in modo tanto sfacciato? Concordo con il primario del Sant’Andrea: l’Italia è un Paese che ha smarrito da anni “la considerazione per le cose importanti”.

Io mi metto sempre nei panni di un giovane che si affaccia e deve farsi strada in questo mondo. Cosa vede? Vede un Cristiano Ronaldo che firma un contratto da 30 milioni di euro l’anno, 1,2 milioni al mese. Un grande campione, idolo sportivo mondiale, ma nella vita “gioca” al pallone, non salva vite umane. Vede star dei social che fatturano milioni all’anno vendendo i follower alle aziende. Saranno star, certamente con delle doti, ma pubblicano foto su Instagram, non salvano vite umane. Idem per attori, cantanti, protagonisti dello show business. Ora io so perfettamente la reazione, quasi unanime a un tale discorso: eccone un altro che non accetta le regole del mercato, ecco un ingenuo che pensa il mercato possa essere regolato o addirittura “giusto”, e poi “guarda che Ronaldo è un’azienda, dà lavoro a decine di famiglie” fino alle solite accuse di invidia, di chi non accetta il successo altrui e via discorrendo. “Il mercato si autoregola” e chi volesse mettere in discussione questa evidenza è semplicemente fuori dalla realtà.

Abbiamo raggiunto un vero fanatismo a difesa della libertà del mercato di essere iniquo, indifferente a qualunque forma di valore delle azioni e delle conseguenze di quelle azioni. Persino quando è idiota e dannoso nelle sue dinamiche, non lo puoi dire: il mercato è sacro, può fare ciò che vuole, soprattutto schiacciare i poveri. Io chiederei a questi paladini: perché questa idolatria? Non è che magari smuovendo questa “verità inconfutabile” si potrebbe creare a una società un po’ più vivibile? Nel premiare il chirurgo del Sant’Elena si promuove anche una visione del mondo e del sacrificio che merita di essere indicata ai giovani come modello di successo sia personale che economico. E’ un discorso che utopistico, inaccettabile, blasfemo? Non mi interessa. Se il denaro è oggi parametro del successo, e crea suggestioni e desideri, esso fa cultura: si può sperare di utilizzare questa leva per migliorare l’uomo e la società?

So benissimo che l’economia prospera se lasciata libera di determinarsi secondo gli equilibri tra domanda e offerta. Ma di fronte sproporzioni così lampanti una politica di alto profilo deve intervenire con dinamiche di adeguata redistribuzione. Bisogna dare orgoglio ai più fortunati nel contribuire al miglioramento della società, qualcosa che va al di là della mera tassazione. Chi è convinto non si possano modificare le storture (soprattutto ideologiche) del capitalismo, si merita la società che vediamo ogni giorno. Nella quale un chirurgo affermato viene pagato come un apprendista alle prime armi. E tiene duro solo perché sente che il proprio lavoro è “una missione”. Un professionista che alla fine afferma “la cosa più importante è la soddisfazione dei pazienti”. Se questa società ha ancora un senso è per il contributo di queste persone.

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