Io lo so di chi è la manina che ha inserito nel decreto fiscale l’ormai famosa disposizione pro-riciclaggio. E so anche di chi è l’altra manina che ha riempito il decreto per Genova di sanatorie per i cementificatori di Ischia. So persino perché in qualsiasi decreto-legge di qualsiasi governo, cioè in quasi la metà delle leggi che si fanno oggi in Italia, ci sono sempre norme che i tecnici della legislazione chiamano ancora “intruse”, ma che sono ormai la regola, non l’eccezione. E lo so perché non si tratta di una manina, ma di una manona. E come lo so io, lo sanno gli esperti di diritto parlamentare, i parlamentari stessi e tutta la pittoresca tribù di maneggioni, lobbisti e facilitatori che gli gira intorno.

Si chiama crisi del sistema parlamentare e la racconta nei dettagli Carlo Ferrajoli in un librone intitolato Rappresentanza politica e responsabilità (Edizioni scienitifiche, 2018) per essere più sicuri che nessuno lo legga. La crisi viene da lontano, ma è stata accelerata dal passaggio al sistema elettorale maggioritario post-Tangentopoli e dalla riforma dei regolamenti parlamentari, che hanno definitivamente trasferito al governo, di fatto, l’esercizio del potere legislativo. Ai miei studenti la racconto così. Gli chiedo: da grandi volete fare i parlamentari e, anzi, tenete nel cassetto una grande riforma, per la quale sarete eternamente ricordati, ad esempio l’abolizione della nebbia in Val padana?

Bene, anzitutto fatevi eleggere, ma quello è il minore dei problemi, di questi tempi sono divenuti di bocca buona. Poi andate in Parlamento ma non fate la fesseria di presentare la riforma a vostro nome: vi riderebbero in faccia, e non per il contenuto, bensì perché le proposte di legge d’iniziativa parlamentare non se le fila nessuno, passano in coda ai decreti del governo, da convertire in legge a tamburo battente altrimenti scadono, come lo yogurt. Dunque, aspettate un decreto da convertire, sono ottimi quelli relativi a qualche disgrazia, un terremoto, come a Ischia, il crollo di un ponte, come a Genova, ma non necessariamente quelle, ci hanno già pensato altri e poi di disgrazie siamo i maggiori produttori mondiali.

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Aspettate il vostro turno, perché per fare queste cose c’è sempre la coda, e presentate un bell’emendamento per l’abolizione della nebbia in Val padana, non necessariamente formulato così, anzi meglio se lo occultate dietro rinvii a provvedimenti precedenti, anche presi a caso, persino immaginari, come l’allegato E dell’articolo 8 sexties (che fra parentesi non c’entra niente con il sesso) di una legge milleproproghe, od omnibus o diligenza, nel senso di quelle che si assaltano. L’aula voterà l’emendamento come gli altri, nella distrazione generale, il Presidente della repubblica lo firmerà – e perché non dovrebbe, l’abolizione della nebbia in Val Padana non è mica manifestamente incostituzionale – e quando qualcuno se ne accorgerà, magari anni dopo, avrete anche voi il vostro quarto d’ora di notorietà, e forse persino una nota a piè di pagina nei libri di storia.

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Pace fiscale, tre regole per evitare le “manine” nei decreti

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