L’attività subacquea è divertente ma può nascondere insidie, innanzitutto non poter comunicare direttamente con il mondo esterno per segnalare problemi o emergenze. La tecnologia viene in aiuto dei sub grazie al progetto italiano ARCHEOSUb sviluppato dall’Università di Roma La Sapienza e dall’Università di Firenze, con la collaborazione l’azienda WSense e la spinoff MDM e il co-finanziamento di EASME (European Agency for SME).

Come suggerisce il nome, il progetto è nato per sviluppare soluzioni per scoprire, monitorare e tutelare i beni archeologici sommersi, di cui il mar Mediterraneo è ricco. In realtà, come ci ha spiegato la dottoressa Chiara Petrioli, professore ordinario del Dipartimento di informatica della Sapienza, la tecnologia che è stata creata a questo scopo si può declinare in molti altri ambiti sottomarini. Fra questi un’applicazione importante riguarda la sicurezza dei sub.

Quello che i ricercatori dell’Università La Sapienza e Wsense hanno ideato e sviluppato – e che ora diventa un prodotto commerciale di cui Wsense detiene i brevetti – è una rete sottomarina che trasmette in acustico grazie a sensori collocati in mare. Questi sensori consentono di trasmettere i segnali a qualche centinaio di metri in un collegamento punto a punto; mediante la rete coprono zone più ampie.

Alla rete si possono collegare strumenti di esplorazione ma anche persone in immersione, tramite un apposito tablet di cui sono dotati i sub, collegato alla rete sottomarina. Usando un’app appositamente sviluppata, i sub possono chattare fra loro per scambiarsi informazioni sul lavoro che stanno svolgendo, e possono comunicare tramite social con il mondo in superficie. Non solo: sono disponibili anche servizi di localizzazione.

Immaginate quindi la situazione spiacevole in cui si può trovare un gruppo di sub nel caso uno di loro abbia un problema. Oggi qualcuno deve risalire in superficie e dare l’allarme alla barca d’appoggio (sempre che ci sia), perdendo tempo prezioso. Domani basterà usare la rete e gli strumenti disponibili per allertare i soccorsi senza riemergere, comunicando anche la precisa posizione in cui ci si trova.

Un passo avanti notevole sul fronte della sicurezza, che va di pari passo con l’accentuazione della componente divertente delle immersioni: tramite la rete subacquea si possono trasmettere contenuti multimediali oltre a messaggi di testo, e lo scambio di informazioni può avvenire anche con chi è in superficie.

Oltre a quanto detto, nell’ambito del progetto ARCHEOSUb l’Università di Firenze ha sviluppato anche Zeno, un robot a basso costo che ha la capacità di muoversi in ambienti ristretti, equipaggiato con strumenti tecnologici d’avanguardia che gli permettono di trasmettere in tempo reale le informazioni raccolte da videocamera, sonar e altro, senza riemergere.

Un altro aspetto importante è che il progetto è tutto italiano, con tanto di brevetti depositati, e che sta suscitando in tutto il mondo una grande interesse anche per le applicazioni nell’ambito di tutela della fauna e della flora marina, o nel monitoraggio di zone di estrazione nell’ambito Oil&Gas. Si tratta ormai a tutti gli effetti di una tecnologia tecnologia che renderà possibile lo sviluppo della cosiddetta “Blue economy”.

Se vi state preoccupando per il disturbo che le comunicazioni acustiche potrebbero arrecare ai pesci, state tranquilli. La dottoressa Petrioli ci ha spiegato che le tecnologie impiegate sono multifrequenza e adattive, ossia permettono di comunicare su più frequenze, limitando il più possibile la potenza con cui il segnale viene trasmesso. E le frequenze stesse si possono cambiare in funzione del contesto, ossia in base ai pesci presenti nella zona e alle loro frequenze tipiche di comunicazione.

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