“Basta con l’egocrazia”. E sul M5s: “Bisogna incalzarli per dividerli, c’è una massa sterminata di popolo che attende segnali”. Nicola Zingaretti chiude i lavori della sua Piazza Grande di Roma con un discorso di quasi due ore, in cui non nomina mai Matteo Renzi, ma prova a stendere un velo sul passato, intendendo come “chiusa quella stagione” in cui “ci siamo nascosti dietro la forza anche straordinaria di un leader”. Una critica all’impostazione voluta dall’ex rottamatore fiorentino che si allarga alla storia poco felice di dieci anni di Partito democratico (“Siamo passati da 12 milioni a 6 milioni di voti”), ma in parte anche a come si è governato, quando è accaduto, in questo decennio (“abbiamo tolto 10 milioni di euro agli enti locali”, ha ribadito). Per il presidente del Lazio, però, “non è il tempo dell’abiura ma della riflessione e del cambiamento, per un nuovo paradigma. Ecco la ricerca, non l’abiura. L’ammissione di una fase storica alle nostre spalle in cui ci siamo convinti che la crescita avrebbe portato la fine delle disuguaglianze”.

Ma nelle “alleanze oltre il Pd”, come accennato da Paolo Gentiloni che ha preceduto l’intervento del governatore laziale, non c’è spazio per il M5s, bensì per i suoi elettori (“dobbiamo indagare, capire perché hanno scelto loro, e non vergognarci di dire che abbiamo sbagliato”). Di fronte a una folta platea nella quale, mescolati fra il pubblico, c’erano finalmente i big del partito – da Dario Franceschini a Piero Fassino, passando per Matteo Richetti e, per il secondo giorno di fila, l’ex ministro Giuliano Poletti – Zingaretti ha risposto alla possibile candidatura filo-renziana di Marco Minniti puntando ancora una volta sull’inclusività, su frasi come “basta con l’io, dobbiamo ritrovare il noi”, monito – perché no – anche a chi si è opposto in questi anni acriticamente a Renzi o chi, in queste ore, punta allo scontro con la stessa area zingarettiana. Sull’Europa, ancora una volta, un punto fermo: “Dobbiamo rifondarla, non distruggerla come vorrebbero i sovranisti”, che sono “i nemici della nostra Patria” e per farlo bisogna portare avanti la proposta della “elezione diretta del presidente degli Stati Uniti d’Europa”.

“PRIMA LE PERSONE”, RISPOSTA A RENZI E SALVINI – Fra i tanti slogan estrapolabili dal Nicola-pensiero, è tornato diverse volte l’assunto “prima le persone”, tentativo – ancora una volta – di chiudere la stagione renziana accantonando i personalismi e dando spazio alle varie anime di questo progetto di centrosinistra, ma anche risposta netta al “prima gli italiani” coniato in tempi non sospetti da CasaPound ma divenuto ormai bandiera salviniana. E proprio alle politiche leghiste Zingaretti ha risposto con forza dal palco dell’ex Dogana: Lodi, Riace e Verona sono diventate per questo motivo di forte contrapposizione al “crinale pericoloso” contro il quale “dovremo combattere, creando una comunità combattente che combatte se è convinta ed è convinta se è protagonista”. Così a Mimmo Lucano arriva la “solidarietà” dell’aspirante segretario, perché “è una brava persona”, ma sempre tenendo conto che “rimaniamo garantisti”; sui fatti di Verona e sull’attacco alla legge 194 nel ddl Pillon si parla di “lancette indietro di 50 anni”, “attacco alle donne” che “non possono essere lasciate sole dagli uomini in questa battaglia”. Infine, su Lodi le parole sono “insulto all’umanità” perché quello che sta accadendo “non è né progressista né cristiano”, come non lo è “togliere la storia dall’esame di maturità nell’anniversario della deportazione”. Attenzione anche al tema religioso, con frasi di Paolo VIoggi proclamato santo da Papa Francesco – citate sia da Zingaretti sia da Gentiloni.

L’ATTACCO A DI MAIO: “SORRISO EBETE” – Il linguaggio di Zingaretti, come al solito, non trascende mai nemmeno nei passaggi più duri. L’unico momento in cui si sfiora l’insulto è quando si parla di reddito di cittadinanza. “Sono rimasto inorridito nel vedere il sorriso, posso dire quasi ebete, di Di Maio quando racconta soddisfatto che lo Stato darà i soldi ai poveri, ma li controllerà”, ha attaccato il governatore, ribadendo un concetto già espresso durante la presentazione del libro del suo vate politico, Goffredo Bettini. Sul reddito di cittadinanza, Zingaretti rivendica che “l’idea è stata nostra”, in riferimento al reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni, probabilmente dimenticando come in realtà l’esecutivo dem abbia provato a far sua una battaglia storica dei grillini. Sul rapporto con il M5s in questi mesi si sono consumati a suo dire “equivoci” circa il dialogo in Consiglio regionale: “Hanno detto che volevo farci un accordo, quando ho fatto di tutto per distruggerli”, argomentazione divenuta più credibile dopo l’ingresso nella maggioranza regionale di due esponenti storici di centrodestra.

COSA RESTA DI “PIAZZA GRANDE” – Di certo la “leopolda zingarettiana” ha dato alcuni spunti e rianimato la sinistra romana, che si è ritrovata nelle sue varie anime. Lo spazio dell’ex Dogana ha dato un’indicazione su qual è il modello di riferimento della società zingarettiana: uno spazio recuperato nell’antico deposito industriale delle Ferrovie dello Stato, oggi divenuto luogo d’incontro hiptster della movida cittadina, in uno dei quartieri più rossi della città (ma oggi ad alta adesione pentastellata) e situato a pochi metri da alcuni dei centri sociali più attivi nella Capitale. E dai centri sociali arrivano alcuni dei giovani su cui punta Nicola Zingaretti, come Amedeo Ciaccheri, che ha preceduto il padrone di casa strappando applausi alla folla invocando una “scelta partigiana” contro i sovranisti come “viene fatto in tutto il mondo” e rivendicando la vicinanza, fin da subito, del suo gruppo politico alla battaglia di Ilaria Cucchi. Significativo anche l’intervento di Elvira Ricotta Adamo, attivista dem 30enne, italiana ma dai tratti orientali, che subito dopo Berenice King (figlia del padre dei diritti civili nel mondo, Martin Luther King) ha parlato della battaglia “persa per colpa nostra” sullo ius soli e sui diritti di milioni di giovani figli di stranieri. Anche da questi ragazzi Zingaretti spera di far ripartire il Partito democratico. O, come l’ha definita Paolo Gentiloni, “l’alternativa per l’Italia”.

 

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