Ai più giovani sembrerà strano, perfino incredibile, ma è esistito un tempo in cui Google non c’era e le ricerche si effettuavano altrove. L’azienda destinata a diventare un colosso delle ricerche e non solo, nasceva infatti venti anni fa ad opera di Sergey Brin e Larry Page, nel più classico dei garage consegnatici dalla moderna mitologia hi-tech statunitense.

In realtà la data del 27 settembre 1998 è arbitraria ed è stata fissata per convenzione dalla stessa azienda di Mountain View, scegliendo il giorno in cui il motore di ricerca fece il record di contenuti indicizzati (cioè visti, elencati e messi in lista, o appunto in un indice). Il dominio google.com fu registrato il 15 settembre del 1997, mentre la società fu ufficialmente fondata il 4 settembre del 1998. La storia del più noto motore di ricerca del mondo però inizia ancora prima, a Stanford nel 1996, dove Brin e Page iniziano a lavorare sull’algoritmo che poi sarà alla base del motore di ricerca.

Backrub, questo il nome, poi diventato PageRank, offriva una gerarchia di risultati in cui le pagine Web venivano ordinate e proposte all’utente secondo il numero di volte in cui erano state condivise. Non nel senso moderno del termine però: all’epoca si contavano semplicemente i link, in una rete dove ce n’erano pochissimi rispetto a oggi era comunque un’operazione incredibile. Un’intuizione così geniale da consentire a Google di spazzare via i concorrenti in pochi anni e di restare saldo sul trono nonostante tutti i tentativi di scalzarlo.

Chi ha più di 40 anni ricorderà ad esempio AltaVista o Ask Jeeves. Il primo nacque solo un paio di anni prima di Google, nel 1995, e per molto tempo è stato il più potente motore di ricerca disponibile sul Web. Il motore, che era diventato anche la base per i risultati di ricerca forniti da Yahoo Search, entrò in crisi nei primi anni del 2000, mentre Google iniziava a crescere sempre più rapidamente, e gettò definitivamente la spugna nel 2013.

Ask Jeeves invece era un motore di ricerca la cui principale caratteristica era quella di comprendere, già nel 1996, ricerche formulate nel linguaggio naturale. Un compito difficile anche oggi, come ci dimostrano i tanti assistenti digitali come Alexa, Siri o Google Assistant. Nel 2005 il nome fu cambiato in ask.com e cambiò anche la strategia; non funzionò e nel 2010 abbandonò il campo della ricerca.

La scelta vincente di Google di puntare sulla condivisione dei link, anziché sulla densità all’interno dei testi della parola chiave ricercata, ha portato in realtà al tramonto di molti altri concorrenti, come Excite, InfoSeek, Hotbot o Lycos ma ha anche fatto emergere diversi problemi, il più noto dei quali è la cosiddetta bolla di filtraggio.

Il timore è che Google finisca per restituirci unicamente i risultati a noi più graditi, chiudendoci in una sorta di bolla in cui tutto coincide con le nostre convinzioni, confermandole anziché sfidandole con fonti alternative (ma sempre affidabili).

Gli studi sul fenomeno non sono risolutivi, ma se anche così non fosse, premiare i contenuti unicamente in base alla diffusione e condivisione rischia di “nascondere” testi di uguale o maggiore qualità a quello dei primi dieci risultati, che per qualche ragione non sono riusciti a raggiungere la prima pagina.

Negli anni in molti hanno tentato di sfidare Google, da Microsoft Bing a Wolphram Alpha, il motore di ricerca che tenta di fornire direttamente risposte anziché elenchi di pagine, fino a Qwant, il primo motore di ricerca europeo che afferma di rispettare davvero la privacy degli utenti, non tracciandone le ricerche a fini di profilazione.

Tutti questi sforzi fino ad oggi sono stati inutili e nella cultura di massa Google è ormai sinonimo di Internet. La storia però ci insegna che in ambito tecnologico quasi nulla è eterno. Chissà che già oggi, in qualche altro garage o scantinato in giro per il mondo, qualcuno non stia sviluppando il prossimo fenomeno che tra altri vent’anni ci farà sembrare anche Google un nostalgico ricordo del passato.

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