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Libia, l’ambasciatore Perrone rimane a Roma “per motivi di sicurezza”. Ma è lui l’ostacolo agli accordi con Haftar

Il diplomatico aveva "deciso autonomamente di rilasciare" un'intervista a un media libico in cui lasciava intendere che la situazione di sicurezza del Paese non rendeva possibili nuove elezioni, facendo infuriare il generale della Cirenaica
Libia, l’ambasciatore Perrone rimane a Roma “per motivi di sicurezza”. Ma è lui l’ostacolo agli accordi con Haftar
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L’ambasciatore Giuseppe Perrone per il momento non tornerà in Libia “per motivi di sicurezza”, nonostante la sede diplomatica di Tripoli sia “aperta e operativa”. Dietro la diplomatica spiegazione fornita dal ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, in audizione davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato, se ne nasconde una di carattere strategico: il diplomatico italiano non è ben visto, per usare un eufemismo, dal generale Khalifa Haftar con il quale il governo di Roma sta cercando di intavolare un dialogo per avviare il processo di pace nel Paese, dopo che i ribelli della Settima Brigata si sono rivoltati contro il sempre più debole esecutivo a spinta Onu di Fayez al-Sarraj.

L’opportunità di trattenere Perrone a Roma arriva dalle minacce che ha ricevuto e le violenze che si sono scatenate dopo una sua intervista che, spiega Moavero, l’ambasciatore aveva “deciso autonomamente di rilasciare”, a inizio agosto, a Libya’s Channel. Nel colloquio in arabo con i giornalisti, il diplomatico aveva voluto sottolineare l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Parole che allontanavano l’opzione della chiamata alle urne entro la fine del 2018 proposta, invece, dal generale Haftar con il sostegno della Francia. Per questo, l’intervista aveva causato manifestazioni, con bandiere tricolore bruciate nelle piazze delle città della Cirenaica, e portato alle dure dichiarazioni del governo di Tobruk: la Commissione Affari Esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona non grata”, mentre il ministero degli Esteri del governo provvisorio lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Situazione che, a metà agosto, aveva fatto optare per un ritorno in congedo in Italia di Perrone.

Il problema è che, dopo le rivolte anti-Sarraj, gli equilibri nello scacchiere libico si sono spostati e anche l’Italia ha cambiato strategia, spostandosi dalle posizioni intransigenti di sostegno pieno ad al-Sarraj. Non a caso, il 10 settembre Moavero è volato da Haftar, a Bengasi, per aprire il tavolo di dialogo tra Roma e Tobruk e invitarlo ufficialmente a prendere parte alla conferenza internazionale sulla Libia organizzata dall’Italia nella prima metà di novembre e che, ha annunciato oggi il ministro degli Esteri, si terrà in Sicilia. La volontà è quella di avviare un dialogo tra le principali forze in campo e arrivare a garantire un livello sicurezza che permetta di indire nuove elezioni che, secondo Haftar, consegnerebbero a lui il prossimo governo del Paese. In una prospettiva del genere, la presenza di Perrone rappresenterebbe un ostacolo al dialogo tra il governo italiano e quello della Cirenaica.

Sul periodo migliore per il voto, però, non c’è ancora un accordo tra Roma e l’asse Parigi-Tobruk. Il Presidente francese, Emmanuel Macron, in accordo con il generale libico, ha indicato la data del 10 dicembre come quella migliore per chiamare i cittadini ad esprimere le proprie preferenze. “Non cerchiamo il bisticcio con la Francia ma non desideriamo nemmeno subire imposizioni”, ha però spiegato Moavero, dicendosi “in disaccordo” con la posizione francese. “Esiste l’idea di operare insieme”, ha poi assicurato.

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