Nell’inchiesta per il crollo della Torre Piloti di Genova è partito dalla tragedia e ha risalito la scala delle responsabilità spacchettando l’indagine in tre. E sta facendo luce non solo sulla notte in cui il cargo Jolly Nero tirò giù la torre dalla quale si controllava il traffico del porto, ma anche sulla costruzione della struttura progettata a filo di banchina e persino sul sistema di certificazione delle navi da parte del Rina, l’intoccabile Registro navale italiana. Così il pm Walter Cotugno ha messo sotto accusa marinai, comandanti, amministratori, delegati alla sicurezza, l’allora comandante delle Capitanerie di Porto italiane, membri del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Alcune condanne sono già arrivate, un processo inizierà a settembre e un’indagine è ancora in corso.

Francesco Cozzi

Adesso il procuratore capo Francesco Cozzi gli ha assegnato anche il fascicolo, al momento contro ignoti, sul crollo del Ponte Morandi. Lo condividerà con il collega Massimo Terrile, sotto il coordinamento dell’aggiunto Paolo D’Ovidio. Un’altra indagine tecnica, amplia e difficile, che tocca un colosso della gestione del trasporto, proprio come l’armatore Messina nel settore navale, per la quale in primo grado Cotugno aveva chiesto il commissariamento aggiungendoci una richiesta di 17 anni di carcere per il delegato alla sicurezza Giampaolo Olmetti. “La compagnia – disse durante la requisitoria in aula – non aveva fatto nulla per correggere le situazioni di pericolo, nonostante 20 casi simili a quello che ha portato allo scontro con la Torre Piloti”. Le navi cargo dell’armatore genovese, come ricostruito nel corso dell’indagine, avevano avuto più volte lo stesso problema durante l’inserimento della retromarcia che la notte del 7 maggio 2013 portò all’impatto e quindi alla morte di 9 persone tra militari della Capitaneria e operatori portuali. Il giudice ha assolto Olmetti e ha rigettato la richiesta di commissariamento per la Messina, chiamata comunque a pagare 1 milione di euro.

Adele Chiello

Ma Cotugno non si è fermato lì. Ha scavato oltre. Quando il gip ha accolto l’opposizione all’archiviazione di Adele Chiello, la mamma di Giuseppe Tusa, militare della Capitaneria sepolto sotto le macerie, ha spinto l’acceleratore per capire se vi fossero o meno responsabilità per la costruzione della torre a filo della banchina di Molo Giano. E alla fine ha chiesto il rinvio a giudizio di 15 persone – ottenendolo per 13 – perché la Torre Piloti, ha scritto nell’avviso di chiusura indagini, era  un “caso unico al mondo” e la “pericolosità” del suo posizionamento “risultava immediatamente percepibile” a chiunque.

Sarebbe bastato far caso alla fotografia scattata da una delle vittime del suo crollo alcuni mesi prima dell’incidente: “Dimostra immediatamente come un minimo errore di manovra, un minimo imprevisto e/o condizioni meteo avverse potessero determinare l’impatto di navi gigantesche sulla Torre”. Il commento postato sotto quello scatto dal militare Daniele Fratantonio, pubblicato dal Fatto.it, “sottolinea la anormalità della situazione percepita direttamente anche da un ‘addetto ai lavori'”. Tra gli imputati che affronteranno il processo dal prossimo 13 settembre ci sono anche l’ex comandante delle Capitanerie di Porto, Felicio Angrisano, ora in pensione, Ugo Tomasicchio e Mario Como, presidente e membro della sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici che espressero parere favorevole al progetto. Le accuse sono a vario titolo di omicidio colposo, disastro e crollo colposo.

La torre prima di crollare

Una posizione, quella di Cotugno, che è stata sposata anche dalla giudice Silvana Carpanini nelle motivazioni della sentenza di primo grado nel processo per l’incidente, che ha portato a condanne fino a 10 anni e 4 mesi: “Altre responsabilità”, scrisse il magistrato, “potrebbero individuarsi a carico di chi ha permesso la costruzione della torre in una posizione così esposta“. Fermo restando le responsabilità dell’equipaggio è “certo”, sosteneva Carpanini, che “una generale presa di coscienza da parte di chi gestiva la struttura del pericolo nel far manovrare navi in quel contesto e della necessità di adottare misure di protezione anche contro l’errore umano inescusabile, avrebbero potuto impedire la tragedia”.

È ancora aperto, invece, l’ultimo troncone d’inchiesta, quello più “scottante” perché mette sotto accusa il sistema di “certificazioni facili” delle navi da parte del Rina, “intoccabile” istituzione e leader a livello mondiale. Nell’aprile 2017, Cotugno ha chiesto e ottenuto i domiciliari per un dirigente del Registro navale italiano e la sospensione di un altro perché accusati di aver prodotto certificazioni “false”. Sotto accusa anche due capitani di fregata della Capitaneria di Porto, sospesi anche loro per sei mesi. Tra loro, anche Marco Noris, i cui rapporti con un manager della Costa vennero definiti “singolari” dai carabinieri che indagavano sull’incidente del Giglio. Secondo l’accusa, dopo l’impatto tra il Jolly Nero e la Torre Piloti, sono state eliminate prescrizioni troppo blande per dimostrare che il livello dei controlli fosse alto. Ma non solo, perché il rilascio delle certificazioni false sarebbe avvenuto anche prima, più volte, in favore della Messina e di altre compagnie tra cui la Corsica Ferries.

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