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La proposta di Luigi Di Maio di realizzare nella pubblica amministrazione un censimento dei “raccomandati” è un passo concreto, efficace e rivoluzionario nel difficoltoso cammino verso la meritocrazia, che vede il nostro paese collocato all’ultimo posto di una speciale classifica dell’Ocse che prende in esame dodici paesi europei.

Il vicepremier ha portato come esempio la Rai, ma mi auguro che questo progetto riguardi tutte le aziende pubbliche, di proprietà esclusiva dello Stato od anche semplicemente partecipate con quota maggioritaria, ma anche i cosiddetti enti di diritto pubblico, organismi che, sebbene di proprietà anche di privati, vengono istituiti per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale e che, a tal fine, vengono sottoposti a forme di influenza pubblica.

Penso a Banca d’Italia, a Consob ma anche a Monte Paschi Siena, ora controllata al 68,25% dal Mef. Provi Di Maio a fare sui social una ricerca basata sui cognomi dei top manager delle banche italiane e avrà la risposta. In quelle aziende di natura pubblica troverà tanti “figli di…….” quelli che siedono nelle segrete stanze, dei top manager, dei notabili della finanza, sempre loro!
I cromosmi di quei “cognomi” sono davvero superdotati di qualità genetiche (ma, a riflettere su quelli dei genitori, sorgono dubbi) oppure posseggono una forza occulta ben più influente delle qualità intellettive?

È il potere della raccomandazione, quella pratica riconosciuta anche dal dizionario Treccani come «intercessione in favore di una persona, soprattutto al fine di ottenere ciò che le sarebbe difficile conseguire con i mezzi e i meriti propri o per le vie ordinarie».

È uno dei mali principali che nel nostro Paese ha definitivamente bloccato l’ascensore professionale (oltre che quello sociale). Anche perché la raccomandazione viene utilizzata in maniera distorta. La raccomandazione nelle società meritocratiche (soprattutto anglosassoni) è una pratica seria e serve ad accelerare il processo di valorizzazione del merito e a misurare la civiltà di un popolo.

Quando un giovane, per esempio, fa domanda per essere ammesso all’università, gli vengono chieste delle lettere di referenze da parte di persone che lo conoscono bene. Queste lettere costituiscono un elemento importante per la selezione e vengono prese sul serio sia da chi le scrive, sia da chi le legge. In Italia, invece, la raccomandazione si fa per accelerare il processo di inserimento (e di affermazione) nel mondo del lavoro dei coglioni. Espressione colorita ma densa, tra l’altro utilizzata anche in letteratura (da Giacomo Leopardi, per esempio, nel 1821, nella lettera al giornalista Pietro Brighenti) per identificare gli incompetenti, gli inefficienti, gli stupidi: «Amami, caro Brighenti, e ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni che possiedono l’orbe terraqueo».

Purtroppo in Italia sappiamo come funzionano certi meccanismi. Si preferisce appiattire tutto verso il basso. I bravi e i competenti vanno allontanati, marginalizzati, esclusi perché alterano, “sovvertono” il sistema. Che ha le sue regole inamovibili. Un simile atteggiamento, purtroppo assai diffuso sul piano culturale, sociale ed economico, non è però a somma zero. Anzi.
È inutile illuderci: nel nostro Paese il futuro dell’italiano passa per la costruzione dell’italiano del futuro. E questa iniziativa, sempre che si porti a termine, mi sembra un segnale forte del “cambiamento” garantito in campagna elettorale.

SALVIMAIO

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