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Lavoro, l’Italia è una Repubblica fondata sullo stage. Non lamentiamoci delle culle vuote

Lavoro, l’Italia è una Repubblica fondata sullo stage. Non lamentiamoci delle culle vuote
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C’è una regola non scritta nell’Italia che lavoricchia: se ho una faccenda noiosa, ripetitiva, fine a se stessa, allora mi serve proprio uno stagista. E non che mi ci voglia molto per trovarlo tra tirocini post laurea, università ingolfate e alternanza scuola-lavoro (forzato). Presentare un’offerta “lavorativa” è facile, basta ammiccare scrivendo di posizione nell’area web (che vuol dire copia e incolla), gestionale (“la sai usare una fotocopiatrice?”), digital (in quanto giovane sei anche social) o logistica (spalle forti e scatoloni). Poi si aspetta che le candidature volenterose piovano in mail.

Lo so, sono provocatorio. D’altronde come non esserlo quando la Regione Sicilia è pronta a lanciare il nuovo bando per reclutare stagisti pagati 500€ al mese, parlando di “positiva esperienza” con Garanzia Giovani anche se la media di impiego dopo il programma sull’isola è del 4,3%: circa 8mila ragazzi su 186mila.

Ma non è solo Sicilia: è l’intera, attuale Repubblica a essere fondata sullo stage che fa comodo. Lavoro al Nord, nell’università e nel privato e anche qui ogni giorno vedo i danni che questo apparato para-lavorativo fa da entrambe le parti. Vedo giovani sviliti da incarichi che non insegnano niente, provvisori in posizioni a orologeria; vedo la professionalità deprezzata e sul chi va là.

Lo stagismo è una disgrazia in giacca e cravatta, una dittatura buona solo a riempire il bluff dei curriculum, un tritatutto distante da una gavetta proficua per apprendisti e mentori. Per questo il mio messaggio ha la pretesa di essere doppio.

La prima parte è per i ragazzi, gli unici che possono spezzare la catena che li tiene a distanza dalla dignità di un futuro. Mantenete la schiena dritta: stagisti va bene fintanto che la bilancia delle competenze ricevute e dei sacrifici fatti si manterrà parallela al terreno.

La seconda parte è per i datori di “lavoro”. Prendetevi cinque minuti per sfogliare l’ultimo rapporto Istat; dice che l’Italia sta appassendo: nel 2065 saremo 6,2 milioni in meno. Nel nostro Paese non nascono né bambini né famiglie e d’altronde è difficile farsene una se sei giovane e vivi a stage e stecchetto. Il ragazzo alla scrivania di là, quello che sottopagate (o non pagate per niente), è lo stesso che non può permettersi una casa perché non merita un mutuo, perché non ha garanzie da offrire all’aristocrazia palazzinara. Avete mai provato ad affittare un bilocale mostrando il curriculum?

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