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Fermo, ora che un altro tetto è crollato a pioverci addosso sono le nostre responsabilità

Fermo, ora che un altro tetto è crollato a pioverci addosso sono le nostre responsabilità
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Adesso staremmo piangendo. I tg straordinari che si azzufferebbero su tutti i canali, lo sgomento, la rabbia e le frasi di circostanza. Invece, se le telecamere non hanno circondato l’Itis di Fermo, è solo per un caso o per un Dio. Il crollo ha anticipato la campanella, il tetto intero ha calpestato il pavimento di un’aula dell’Istituto Montani prima che potessero farlo gli studenti.

A Eboli, tre giorni prima, è andata peggio: lì, oltre al Cristo di Carlo Levi, si è fermato il cuore in gola agli insegnanti che hanno visto controsoffitto e calcinacci sommergere di punto in bianco tre bambini di una scuola primaria. E ancora (solo tra aprile e maggio) Telese Terme, Nocera, Firenze, Brindisi, Busto Arsizio. Sempre, fortunatamente, senza vittime.

È come se l’Italia ci stesse facendo piovere addosso le responsabilità che abbiamo dimenticato. Le ricorda a una politica che nei tweet promette il nuovo senza guardare al vecchio che siamo ancora; senza accennare a scuole, mafia, rischio sismico e idrogeologico. Le ricorda a noi, che non abbiamo tempo, che non ci riguarda, che non possiamo.

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In Italia ci sono più case che scuole: beh, normale. Eppure crollano più scuole che case e qui la normalità non riesco a trovarla. Diventa tutto più chiaro, però, se si fa un giro tra i banchi. Avete mai accompagnato anche solo un nipotino? O alzato gli occhi quando andate a votare al vostro seggio? Classi e corridoi con più crepe che anni. Sono i segni di una mentalità irresponsabile, al ribasso, che indebolisce le nostre scuole più di quanto il tempo da solo avrebbe potuto. Decenni sbagliati hanno messo poco cemento dove serviva, cementando invece generazioni intere nella convinzione che ciò che è privato è mio e ciò che pubblico non lo è. Ieri la superficialità nel costruire qualcosa che non mi appartiene, oggi la superficialità nel non controllare, nel non segnalare perché non è compito mio. “Qualcuno” lo farà.

La rinascita di questo Paese è lì. Sarebbe lì. Nel vedere di nuovo la cosa pubblica come una cosa che mi riguarda, che mi appartiene. Sentire la responsabilità dell’infiltrazione nel solaio della scuola come fosse nel mio soggiorno. Altrimenti, finché guarderemo all’Italia con questi occhi polverosi, il cambiamento che cerchiamo e votiamo sarà solo carta da parati su muri marci.

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