Ci vuole un po’ di distacco per analizzare con lucidità la vicenda di Alfie Evans, il bambino inglese affetto da una malattia neurodegenerativa grave e irreversibile che i giudici inglesi hanno dichiarato impossibilitato a vivere ulteriormente, decidendo la sospensione di tutte le cure che lo tenevano in vita. Ci vuole un po’ di distacco perché il pathos, la reazione istintiva che ci fa gridare all’omicidio senza pietà di un bambino di pochi mesi non ci aiuta a capire nulla di quello che sta realmente accadendo.

La vicenda è stata ricostruita in maniera corretta e completa da alcuni giornali, specie da Wired e dalla Ccn. I fatti sono andati così: per la legge inglese chi deve decidere in questi casi sono i genitori insieme ai medici. Normalmente si trova un accordo, in questo caso invece non c’è stata convergenza. Ecco perché si è dovuto ricorrere ai giudici, i quali più volte hanno deciso basandosi su una legge che consente in Inghilterra che si “stacchi la spina” dopo un anno di coma irreversibile e senza alcuna possibilità di guarigione.  Per la legge inglese, infatti, non ha senso continuare a tenere in vita un bambino che non ha nessuna possibilità di guarire, come tutti gli esperti (compresi quelli italiani) hanno dichiarato. Una tragedia vera, nel senso originario della parola, cioè un conflitto doloroso e lacerante tra due posizioni, a cui noi avremmo fatto bene a guardare con silenzio e rispetto.

Invece no. Come nel caso di Eluana Englaro e in tanti altre vicende simili, nel nostro Paese è scattata una guerriglia ideologica inutile e insensata. Confondendo la posizione del Papa con la nostra- altro fatto che avviene normalmente nel nostro Paese quando non dovrebbe essere così – l’Italia (o meglio chi ci governa) si è schierata a difesa della vita, come se i medici inglesi non capissero nulla e così l’Alta corte di giustizia inglese e pure la Corte europea dei diritti umani che ha scelto la stessa posizione.

Quello che è successo è quasi stupefacente: la ministra Roberta Pinotti che dichiara che un aereo militare è pronto sulla pista per andare a prendere Alfie, l’Ospedale Bambino Gesù – un ibrido caso, possibile solo in Italia, di struttura ospedaliera del Vaticano però pagata interamente con i soldi dei contribuenti italiani – si è mobilitato per ospitare il piccolo, con tanto di visita della direttrice in Inghilterra e grandi interviste ai giornali. Infine i ministri Marco Minniti e Angelino Alfano in quattro e quattr’otto hanno concesso la cittadinanza italiana ad Alfie – altro gesto sinceramente incomprensibile, mentre i politici italiani, specie di destra come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, hanno fatto gara a prendere le difesa dei genitori contro giudici e medici, con post vibranti di indignazione su Facebook, mozioni parlamentari, interrogazioni urgenti alla Commissione europea – come quella dell’eurodeputate Silvia Costa e Patrizia Toia – per capire come mai ad Alfie fosse negato il trasferimento in altro Paese, come previsto invece dalle normative europee che danno a ciascuno la libertà di curarsi ovunque in Europa.

Certamente quello della libera circolazione può essere un punto che va chiarito. Ma il problema non sta qui, bensì in cosa avrebbe fatto Alfie una volta trasportato in Italia: nulla, nel senso che sarebbe rimasto attaccato al ventilatore per mesi, o forse per anni. Non c’è nessuna terapia ulteriore di cui il bambino si sarebbe potuto giovare qui, a detta di tutti gli specialisti, compresi quelli del Bambino Gesù interpellati in merito.

Immaginiamo dunque – cosa che non siamo mai capaci di fare, quando siamo presi dal pathos – il piccolo Alfie e la sua famiglia tra due anni o cinque. Sarebbero nella stessa identica situazione di oggi, senza alcuna speranza, con un figlio immobile attaccato a un respiratore. La verità in tutta questa storia è che a scioccarci non è che Alfie muoia ma le modalità con cui ciò avviene, cioè con un distacco dal respiratore e dall’idratazione che ci appare come una morte violenta, come se (per dire) a nostro figlio venisse negato cibo e acqua e aria fino a che non morisse soffocato. I medici spiegano che così non è, che quando così accade non c’è sofferenza. Ma se si vuole contestare questa modalità io credo che bisognerebbe aprire un dibattito sull’eutanasia pediatrica, tema tabù e invece importantissimo che nulla c’entra con l’eugenetica. Anzi, è una forma di accettazione del fatto che una vita non può continuare e un modo per evitare ogni possibile sofferenza a un bambino che magari sta patendo immensamente.

Ma al di là di questo tema – di cui in Italia è impossibile discutere – lasciano basiti gli atti inconsulti e dettati da paura ideologia del governo italiano. Si dà la cittadinanza in mezza giornata a un bambino senza neanche riflettere su ciò che si sta facendo, sull’onda emotiva di una parte della popolazione. Che non si accorge, ovviamente, che siamo in un Paese in cui la cittadinanza continua ad essere negata a centinaia di migliaia di bambini e ragazzi nati e vissuti in Italia. Così come a decine di migliaia di bambini che sbarcano sulle nostre coste. Stremati, affamati e disidratati anche loro. Ma senza nessun faro mediatico puntato addosso. Di loro nessuno si occupa. Possono morire nell’indifferenza collettiva.

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