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Ronald Lee Ermey, ma che infame era il sergente Hartman di Full Metal Jacket?

Ronald Lee Ermey, ma che infame era il sergente Hartman di Full Metal Jacket?
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È morto Ronald Lee Ermey, aveva 74 anni.  Voi chiederete “Ma chi era Ronald Lee Ermey?”. E io vi risponderò “Era l’attore che impersonò il sergente Hartman nel capolavoro Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. La notizia si diffonde sui social, partono i necrologi “Ciao sergente Hartman, insegna agli angeli a rispettare le regole, che la terra ti sia urla disumane”, segue “R.I.P.”, “Nuuuuu”, “Era così giovane” o altre frasi di circostanza che si usano in questi casi. Come ben sapete, il social lutto durerà due giorni, poi si passerà a un’altra notizia della quale si discuterà per due giorni e poi un’altra della quale se ne parlerà per altri due giorni e a furia di altri due giorni, altri due giorni, altri due giorni moriremo pure noi e ne parleranno per altri due giorni. Ma torniamo a questa notizia che ci coglie di sorpresa e che ci fa tornare alla mente questo personaggio terribile (parlo del sergente) “disegnato” da Kubrick.

Ma che infame era? Ma quanto era antipatico? Non che “Palla di Lardo” fosse meglio, ma mi stava sulle balle.
Sempre dietro a urlare.
Sempre dietro a dare ordini.
Sempre dietro a gestire il suo misero potere.

Il sergente Hartman mi ricordava molto i cari capetti, quelli che si trovano negli uffici e ti dicono: “Ti sembra questa l’ora di arrivare?” appena tu con calma, ti siedi, accendi il computer con l’entusiasmo di un condannato a morte dell’Alabama o di altri stati democratici americani e cominci un’altra eterna giornata di lavoro. Il sergente Hartman mi ricordava molto i cari capetti, quelli che si trovano negli uffici e ti dicono “Devi finire tutto entro le tre! E urgente!”. Il sergente Hartman mi ricordava molto i cari capetti, quelli che si trovano negli uffici e gli impiegatucci che li odiano e li ammazzerebbero tutti, ma non si può, e ogni giorno riescono a tenere sotto controllo i nervi sfibrati da quotidiane angherie. Anche private. Capi-ufficio Hartman che sbraitano, vene sulle tempie dei sottoposti che si gonfiano e pulsano ritmicamente.
Tic, tic, tic.
Lì comanda lui, ma fuori da quell’ufficio non vale più nulla e gli Hartman lo sanno che i loro sottoposti gli fracasserebbero nella ghigna le sedie ergonomiche, ma non lo sanno.
Trac.
Sai che sballo?!
Trac.
Sai che bello?!
Sangue che si attacca alla resina delle sedie bianche che per cinque giorni su sette contengono i loro culi silvani. Sangue rosso schizzante che potrebbe dare un po’ di colore e di vita a queste afose giornate da criceti che sgambettano dentro a una ruota che gira. Noi.
Purtroppo non lo fa nessuno.
Purtroppo non può farlo nessuno.
Purtroppo esistono basilari regole di convivenza e anche questa volta i sottoposti hanno scelto di rispettarle, perché sono dei signori.
“How long?” canterebbero gli U2.
Per quanto tempo ancora?
Prima o poi succederà il fattaccio, lo so, o almeno ci spero, ma intanto: Sergente Hartman uno, Impiegati zero.
Palla al centro.
Ogni giorno una goleada.
Poi ci si incammina tutti verso il distributore automatico di cibi e bevande per celebrare il rito della pausa caffè con i colleghi degli altri uffici.
E già è grande attesa per il weekend.
Ed e solo lunedi.
Ed è lutto mondiale per tutti i capetti di niente.
“Ciao sergente Hartman, insegna agli angeli a rispettare le regole, che la terra ti sia urla disumane”

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