Sarà interessante capire in quali tasche finiranno davvero le azioni del maxi aumento di capitale del Credito Valtellinese che partirà lunedì 19 febbraio e si concluderà l’8 marzo. Il successo dell’operazione è determinante non tanto per un ipotetico rilancio dell’istituto, quanto piuttosto per evitare che venga posto in risoluzione, schiacciato dall’enorme massa di crediti in sofferenza (4 miliardi, il 25% degli impieghi) e da perdite sempre più consistenti (332 milioni di rosso sulla base dei risultati preliminari del 2017). La richiesta di 700 milioni al mercato, vale a dire sette volte la capitalizzazione di Borsa dell’istituto, è la mossa della disperazione con cui il management tenta di salvare il salvabile (e soprattutto se stesso) giocando anche d’anticipo rispetto alle richieste della vigilanza.

In questi anni la crisi del Valtellinese si è sviluppata quasi sotto traccia e le denunce degli azionisti di minoranzache segnalavano palesi conflitti d’interesse, presunte irregolarità e gravi problemi di governance – non hanno trovato ascolto, tanto che tutti gli esponenti aziendali e i membri del collegio sindacale sono rimasti saldamente al loro posto. Un chiaro segno che l’autorità di controllo (la Banca d’Italia nel caso del CreVal) non ha ritenuto che “la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca”.

Tuttavia in questi anni è stato anche distrutto valore per oltre 1 miliardo di euro e le azioni dello storico istituto valtellinese, che giusto quest’anno arriverà a compiere 110 anni, hanno perso oltre il 90% dai livelli di marzo 2015. I vecchi azionisti non sembrano disposti a svenarsi ulteriormente, avendo già sottoscritto la ricapitalizzazione da 400 milioni del 2014 con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Certo, restando alla finestra verranno sostanzialmente azzerati dal nuovo aumento di capitale iperdiluitivo, ma almeno – ragionano in molti – non si rischiano di perdere ulteriori quattrini. Altri, invece, verranno forse allettati dal prezzo scontato (il cda nella tarda serata di mercoledì 14 febbraio ha deliberato l’emissione di poco meno di 7 miliardi di nuove azioni a 0,1 euro per azione, con uno sconto del 16% sul prezzo teorico al netto del diritto di sottoscrizione), ma non si prevedono file di sottoscrittori agli sportelli.

E qualche passo indietro si nota anche nel pool di banche capitanate da Mediobanca – ben undici – che in prima battuta avevano firmato un accordo di pre-garanzia sull’aumento: stando a quanto riporta l’agenzia Reuters, confermato anche da fonti vicine alla banca, Jefferies si è sfilata rinunciando al ruolo di senior joint bookrunner. Ne restano comunque altre dieci, di cui molte di standing internazionale come Santander, Citigroup, Credit Suisse, Société Générale, Barclays e Commerzbank. Tale massiccia presenza si spiega probabilmente con le generose commissioni che verranno riconosciute al consorzio oltre che con la necessità di ripartire su più spalle possibili le azioni inoptate di un istituto che capitalizza sette volte in meno di quanto chiede al mercato.

La banca valtellinese è andata a cercare investitori anche a New York, Parigi, Francoforte e Zurigo, ma viene da chiedersi cosa potrà raccogliere: perché mai un investitore estero dovrebbe puntare una fiche su una banca italiana di medie dimensioni, di scarsa visibilità e afflitta da gravi problemi in un momento in cui elezioni politiche dall’esito incerto sono alle porte e crescono le scommesse speculative contro Piazza Affari? Equita sim, che fa parte del consorzio in qualità di joint bookrunner, si dice fiduciosa in una risposta positiva del mercato e motiva il suo ottimismo con il fatto che il Credito Valtellinese avrebbe “molte prospettive” dal punto di vista operativo e che “i giornali scrivono che possa essere oggetto interessante di aggregazioni”. Staremo a vedere, ma più che i giornali è la stessa Equita sim (parte in causa nell’operazione) a fare simulazioni di risiko bancario accostando al Credito Valtellinese cinque possibili pretendenti (Banco Bpm, Bper, Cariparma, Ubi e Credem), ipotizzando fusioni carta contro carta che arriverebbero a valorizzare l’istituto valtellinese 950 milioni e sostenendo che si tratterebbe in tutti i casi di operazioni accrescitive e con limitati rischi di esecuzione.

Il libro dei sogni di un intermediario che è anche joint bookrunner dell’operazione. Alla fine è probabile che una quota non piccola delle azioni emesse in sede di aumento finisca nei portafogli di sicav, fondi comuni d’investimento, fondi pensione, gestioni e polizze assicurative, come accaduto tante volte in passato (per dirne una, gli ignari sottoscrittori delle polizze vita distribuite da Poste Italiane hanno investito in quote del fondo Atlante1, quello che giusto un paio d’anni fa sottoscrisse pressoché integralmente i fallimentari aumenti di capitale di Popolare Vicenza e Veneto Banca). Quanto alle autorità di controllo, la Banca d’Italia nell’ambito di questa crisi non sembra aver battuto un colpo, mentre la Consob – finora silente – dovrebbe rilasciare nei prossimi giorni il nulla osta all’aumento e alla pubblicazione del prospetto informativo. Nel recente passato erano state disposte precauzioni particolari a tutela dei correntisti per evitare abusi e misselling in sede di sottoscrizione degli aumenti di capitale, ma al momento non risulta che tali provvedimenti verranno replicati nel caso del Valtellinese.

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