La vicenda di Macerata deborda dai suoi confini territoriali e pone interrogativi che non possono rimanere senza risposta. La provincia italiana è spesso foriera di fatti di cronaca che poi assumono rilievo nazionale ed internazionale, proprio come le fiction in cui accade di tutto ma sembrano ambientate in sonnolenti territori dove tutto sembra immobile.

In questo caso abbiamo un simbolo che subito conquista le prime pagine internazionali: la bandiera italiana, il tricolore annodato sulle spalle di Luca Traini, il protagonista della tragedia, che per sciatteria o involontaria circostanza viene posto sulle spalle per una foto scattata in caserma dopo il suo arresto. Sarà la foto che si ritroverà su tutti i media, anche all’estero, utilizzata anche solo per contestualizzare il fatto di cronaca, cioè per dire con l’immagine, il fatto è accaduto in Italia. Manna dal cielo per le redazioni, ma nota stridente sulla vicenda che ha visto le forze dell’ordine attente nell’intervenire prontamente ma ingenue nell’aver fatto uscire la foto di quella bandiera sulle spalle del Traini mentre era seduto sul divanetto rosso accanto al calendario tradizionale dell’Arma. Una svista, ma anche un elemento rafforzativo a tutti quei messaggi per i quali Traini ha voluto compiere il suo gesto disumano. Il saluto romano al monumento dei caduti, il tatuaggio che riprende il simbolo del reparto più efferato delle SS naziste, il suo annuncio nel bar e in autogrill del gesto folle che si accingeva a compiere.

Quella foto in caserma sul divanetto rosso ha generato immediatamente nel comune sentire un equivoco: quel tricolore con il ragazzotto di provincia simpatizzante della destra estrema già candidato nella Lega non ha nulla a che fare. Quella bandiera non può appartenere a chi ha simpatie con i movimenti neonazisti che crescono in Europa ed in Italia e sparano 30 colpi contro inermi ragazzi di colore. Anche il reato di vilipendio alla bandiera dovrebbe essere contestato al Traini perché ha associato il simbolo che ci unisce e ci rende unici nel mondo al suo gesto sconsiderato ed al suo tatuaggio.

Qui la bandiera è usata come talvolta si usano i simboli religiosi, ovvero per giustificare l’azione terroristica: ecco perché possiamo parlare di terrorismo politico perché la cosa ha determinato quel panico che la violenza estrema ed incontrollata scatena nei luoghi più comuni, provocando la sensazione che “accade dove anche io potrei essere”.

Stridono anche le modalità di trasporto dalla caserma al carcere di Traini, con quell’incauto ammanettamento davanti che il protocollo non prevede di utilizzare con soggetti di quella corporatura e con quella pericolosità accertata. Ma a volte non si calcolano gli effetti collaterali che l’esposizione mediatica di un gesto oggi possa provocare. Gli interrogativi permangono e rendono il caso Macerata inquietante ma allo stesso tempo macabro sintomo di un Paese che non riesce ancora ad elaborare la giusta distanza da xenofobia e razzismo nonostante le leggi, nonostante la Costituzione.

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