“È un investimento, non una spesa perché i tablet rimarranno in dotazione alle scuole come strumento didattico” aveva detto Roberto Maroni presentando le “voting machine” fornite dalla società Smartmatic. In realtà una spesa lo è sicuramente stata, visto che i 24.000 tablet sono costati 23 milioni di euro, a cui vanno aggiunti gli stipendi dei 7000 assistenti digitali formati appositamente che, insieme ai soldi spesi per la campagna e per gli agenti ai seggi, fanno un totale di circa 50 milioni di euro, cioè quasi il quadruplo di quanto speso dal collega Zaia per il referendum in Veneto col vecchio metodo carta e matita.

E l’investimento? Considerando che i tablet si trovano ancora ammassati nei laboratori scolastici in attesa che qualcuno trovi un modo di usarli, forse non è il termine esatto. Così come dopotutto non lo è la stessa parola “tablet”. “Sono voting machine, meglio chiamarle con il proprio nome”, dice il dirigente scolastico Luciano Giorgi dell’Istituto comprensivo Erasmo da Rotterdam di Cisliano, uno dei 60 istituti (50 comprensivi e 10 scuole superiori) che hanno avuto in dotazione le prime 1500 macchine convertite per l’utilizzo scolastico. “Non sono tablet e la conformazione è poco funzionale per gli alunni” spiega con un eufemismo, alludendo alla struttura elefantiaca dell’apparecchio “ma soprattutto il touchscreen è poco responsivo. Stiamo pensando a un utilizzo come registro elettronico per i professori, magari attaccando un mouse alla porta Usb…”.

Un tablet con il mouse è un controsenso in termini, ma i professori sono disperatamente alla ricerca di soluzioni creative per sfruttare il “regalo” di Roberto Maroni e le provano tutte. “Se hai qualche idea ben venga…” aggiunge Paolo Camassa, responsabile tecnico del Liceo Volta di Milano. “Il problema – dice – è soprattutto il touchscreen, bambini delle primarie hanno addirittura difficoltà a premere con sufficiente forza sullo schermo”. Lenti, goffi e pesanti. Con i loro 2kg di peso e le dimensioni di circa 25 cm per lato, “i tablet” di Maroni non sono certo oggettini portatili ma – ci scherza su Alfonso Iannice, vicepreside dell’Istituto comprensivo Buonarroti di Corsico – “alla fine non tutto il male vien per nuocere: sicuramente non ce li ruba nessuno ed è difficile per un bambino farli cadere. I veri problemi – continua Iannice – sono il touchscreen e il sistema operativo Ubuntu. Dobbiamo cercare programmi compatibili e non possiamo fare lezioni pratiche su Windows”.

Ubuntu è un sistema operativo open source distribuito con licenza GNU GPL che “non è proprio l’ideale per un processore Intel Atom Z8300 come quello presente nella voting-machine di Smartmatic” dice un ingegnere dell’UE specializzato su queste macchine. “Probabilmente lo scarso feedback tattile – mi spiega – è dovuto anche al driver non ottimizzato, chi ha pianificato l’utilizzo di Ubuntu su una piattaforma del genere ha commesso un grosso errore“. Nelle specifiche tecniche della macchina, alla voce OS, si consigliano infatti Windows 10 x86 e Android 5.1.

E chi ha deciso di utilizzare Ubuntu? In Regione un tecnico che ha chiesto l’anonimato spiega che nel capitolato d’appalto era stato richiesto di installare un software open source per non pagare eventuali licenze commerciali. “Fatto sta che così, tra hardware e software, i tablet sono inutili per gli studenti” dico. “Perché non sono tablet – mi risponde il tecnico – tablet ce li avete chiamati voi della stampa, sono voting machine“. “In realtà tablet li ha chiamati Maroni”, facciamo notare “ma se sono voting machine e quindi inutilizzabili come semplici tablet, che ci fanno in una scuola?”, “non voglio entrare in discussioni politiche – taglia corto –, vedremo come risolvere il problema dopo un incontro con i dirigenti scolastici”.

L’incontro, nei piani, dovrebbe avvenire ai primi febbraio. Maroni ha infatti spiegato che l’attuale fornitura di tablet è una sperimentazione che durerà fino a gennaio, poi si farà il punto della situazione per distribuire le altre 20.000 che al momento si trovano nei magazzini di Smartmatic. Quattromila dovrebbero invece restare in Regione per i referendum sulle fusioni dei piccoli comuni. “Consegniamo queste voting machine a voi, affinché ci diciate come funzionano, cosa serve di più, che cosa fare” sono state le sue parole ai dirigenti scolastici durante la consegna. Visti i feedback è possibile anticipare le risposte: funzionano male, e difficilmente qualche accorgimento software cambierà la situazione. Forse soltanto la sostituzione del sistema operativo potrebbe giovare un po’, ma vorrebbe dire sborsare altri soldi per le licenze (se non per l’OS, per gli applicativi). Quelle macchine sono infatti il modello VIU-800 di Smartmatic e sono voting machine dotate di una stampante termica e utilizzate anche per la registrazione biometrica, con tanto di sensori preposti. Insomma, non sono tablet. D’altronde se a nessun altro paese finora era venuto in mente di utilizzarli come tali un motivo ci sarà.

Far passare queste macchine come utili alle scuole sembrerebbe piuttosto una scusa per far accettare una decisione insensata come il voto elettronico. Tra l’altro l’utilizzo di tali dispositivi, che gli istituti dovranno restituire in caso di nuove votazioni, comporta un rapporto continuativo con la società Smartmatic, che dovrà tornare per installare il software adatto.

 

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