“Maestro ma perché il binario 21 non si vede?”. Ogni anno parlando della Shoah in occasione della Giornata della memoria, rispondo a questa e ad altre domande facendomi da parte, lasciando parlare i luoghi, andando con i bambini delle mie classe e con i loro genitori (ma anche con i nonni e qualche amico di mamma e papà che si vuole aggregare) al memoriale della Shoah alla stazione di Milano. Lì tra il 1943 e il 1945, transitarono 15 convogli dove furono stipati migliaia di ebrei diretti alle camere a gas di AuschwitzBirkenau. In un’area adibita al carico e scarico della posta, situato sotto i binari ferroviari ordinari, molti calpestarono per l’ultima volta il suolo italiano. Parole che valgono poco se lette in classe ma assumono valore se sono vissute, se prendono corpo, se diventano esperienza.

I luoghi della memoria vanno visti, toccati con mano. I nostri ragazzi ma anche tanti colleghi hanno bisogno di questo. Ecco perché dovremmo dire basta a tante “gite” inutili alle cascine didattiche o alla Sirmione di turno (dove la maggior parte dei bambini va con i genitori) per prevedere nel corso dell’anno scolastico o almeno del ciclo d’istruzione un viaggio d’istruzione in un luogo della memoria.

Andare al Binario 21 o alla Risiera di San Sabba a Trieste suscita un desiderio speciale di imparare, stimola la curiosità, fornisce un’opportunità di studio ma offre anche la possibilità di dare spazio alle emozioni, ai sentimenti. Non dimenticherò mai il momento di silenzio fatto alla fine della visita con i bambini di dieci anni e i loro genitori: non è stato un minuto. E’ durato molto di più. Nessuno fiatava. In quegli attimi abbiamo messo in gioco la spiritualità, una parte di noi che tra i banchi riusciamo poco a “praticare”.

E’ chiaro che ogni visita va preparata adeguatamente. Va scelto il luogo adatto alla classe. Va motivata e condivisa magari con i genitori e con l’intera comunità. Ma è davanti a quel vagone, a quei nomi che scorrono, a quella parola “Indifferenza” che trovi all’ingresso del Binario 21 che nascono domande, anche morali ed etiche. Anche a quell’età. Il “racconto”, la “narrazione” in presa diretta è una straordinaria esperienza pedagogica ed apre altri campi d’indagine sulla natura dell’uomo, sul male, sulla moralità delle leggi, sul rapporto tra uomo e Dio.

Chi parla della Shoah lo deve fare con competenza storica ma anche pedagogica. Ogni volta che ho raccontato di Liliana Segre l’ho fatto portandoli su quel binario da dove Liliana è partita. Così come quando ho parlato in classe delle sorelle Bucci ho potuto mostrare loro la risiera di San Sabba e la baracca dove hanno vissuto nel campo di concentramento. Ogni anno alle classi affido un “tesoro”: una di quelle pietre raccolta tra i binari di Birkenau. Non posso portare dei bambini in Polonia ma porto un pezzo di “campo” (insieme a fotografie, documentazione filmica etc) in aula. In Italia non mancano luoghi della memoria: Fossoli a Carpi; San Sabba a Trieste; il lager di Bolzano, il binario 21. La scuola si assuma un compito: far diventare le “gite” dei viaggi d’istruzione e di memoria. Se non lo fa chi insegna chi lo deve fare?

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