Per invecchiare di un’intera generazione, il Sud impiegherà una settimana, forse meno. Una muta al rovescio, che finite le feste scuoia via la pelle più giovane e la fa raggrinzita come sulle braccia di chi è sempre rimasto. Dopo ogni Natale, migliaia di ragazzi portatori sani di idee, energie, entusiasmi salgono su treni stanchi e vanno via.

Ciao mare ciao,
ciao madre ciao,
ciao futuro ciao.

Tra banchine di ruggine, studenti fuorisede spezzano le famiglie salutandole con abbracci fitti fitti. Di colpo, mezza Italia si svuota della sua parte migliore, si fa più povera. In tutti i sensi. Dal fondo delle classifiche economiche, dove è inchiodato e lo sarà sempre, il Sud finanzia aerei coi prezzi decollati nei giorni della diaspora, vagoni senza posto e senza scampo per chi non prenota con mesi di anticipo, traversate su gomma lunghe da mezzogiorno all’alba. Ma è solo l’inizio: per tutto l’anno, il Meridione pagherà affitti a mano armata, stipendierà atenei che ringrazieranno con stage non retribuiti, verserà rimesse all’incontrario, perché chi emigra nelle università non manda denaro ma ne consuma.

La spesa vera e gigante, però, è incalcolabile. Chi studia, ed è bravo, non torna. Semmai muta da studente a lavoratore, ma sempre fuorisede. Se l’Italia piange i cervelli in fuga, il Sud ha di che disperarsi mentre perde contemporaneamente l’innovazione e la tradizione, da tramandare più a nessuno. Le previsioni demografiche dell’Istat fanno andar via anche le speranze: da oggi al 2065, da Roma in giù calerà del 13% la popolazione in età da lavoro soppiantata da un +15% di anziani; così quella che adesso è la macroarea più giovane, con un’età media di 43 anni, sarà la più attempata. Statica e coi figli lontani, dovrà badare a se stessa o lasciarsi accudire da gioventù straniere venute dal mare.

Colpa dello Stato” si dice, ed è vero. Basta uno sguardo alle infrastrutture di Sicilia ed Emilia per capire che il gap è mostruoso e ingiusto. Si dice, ma non è tutto. Perché anche le madri e i padri e i nonni che salutano con occhi grondanti d’affetto i figli che rivedranno (forse) la domenica di Pasqua e in villeggiatura ad agosto, sono colpevoli. Il Sud è il primo nemico di se stesso. Che fa spallucce alle negligenze, che dimentica gli scandali, che subisce e sopporta, che non crede in sé, che “così è sempre stato”, che chiude un occhio e anche due, che odia i furbi tranne quando si crede furbo. Ognuno è artefice del suo destino, ognuno ha il compito di lasciare un mondo migliore ai propri figli, pulito dove prima era sporco. Invece, secondo il Check-up Mezzogiorno di Confindustria dello scorso dicembre “l’indice di progresso sociale elaborato dalla Commissione europea vede tutte le regioni meridionali nella parte bassa della classifica, penalizzate soprattutto dagli indicatori della categoria Opportunità”. E allora, ragazzi, non ci resta che tornare.

Dobbiamo tornare. Creare noi quelle opportunità che latitano più delle mafie, invertire il flusso incanalando verso il basso ciò che abbiamo imparato nei libri, sul campo, appreso nella mentalità. Progettare ciascuno il piano con cui ricompensare la nostra terra con le competenze, le abilità, l’intraprendenza, la voglia, il coraggio, anche di fallire. Copiare il meglio del Nord e incollarlo al Sud, adattandolo e migliorandolo ancora.
Il Nord è stato una necessità, è stato un’opportunità, ma oggi per il Sud è un vizio. Centocinquant’anni di questione meridionale, francamente, bastano. Chi salverà il Sud se non i suoi figli?

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