Capita, talvolta, di imbattersi in servizi giornalistici, con tanto di foto, sui rampolli della immarcescibile classe politica italiana. Un po’ come i Rich Kids di Instagram, ma più defilati (forse), i nostri si fanno strada nel mondo dello spettacolo, del giornalismo, dell’impresa, spendendo il reseau di relazioni messo a disposizione da babbo o mamma. E mentre in Italia la mobilità sociale è praticamente azzerata, e i figli stentano anche solo a raggiungere, non dico a superare, il reddito e la tranquillità economica dei loro genitori, i nostri fortunati amici se ne vanno in giro per il mondo con un grande futuro dietro le spalle. Si obietterà che non tutti sono così. Certo, ma abbiamo in Italia parlamentari, ministri, politici, che da una vita sono in ballo, e a cui da una vita paghiamo il lauto stipendio di cui godono. Una lunga (eterna, direi) carriera politica è sinonimo di conoscenze che aprono molte porte, oltre che fonte di non indifferenti guadagni.

Si dirà poi che in tutti i settori succede. Qualcuno ricorderà la polemica sulla ministra Fornero, che certo ha avuto una vita politica piuttosto breve (ma non poco dannosa), la cui figlia aveva ricevuto un finanziamento dalla Compagnia Sanpaolo, “fondazione che è la prima azionista della banca Intesa Sanpaolo, di cui sua madre era vicepresidente”. Certo persone preparate, e poi cos’è questo populismo che agita la nemesi?

Eppure, se il ministro del Lavoro e delle Politiche giovanili (sic) di Renzi, Giuliano Poletti, aveva dichiarato che si trova lavoro più giocando a calcetto che inviando curriculum, siamo autorizzati a malignare sulla facilità con cui certi politici, alzando la cornetta, possano spendere buoni uffici a favore di ciò che più gli sta a cuore: la prole. Del resto lo stesso Poletti, dopo aver commentato che “Se 100mila giovani se ne sono andati non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’. Ci sono persone andate via e che è bene che stiano dove sono perché questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”, ha dovuto subire non pochi attacchi per causa di uno dei suoi pargoli, finito nell’occhio del ciclone per la direzione di una “settimanale delle Coop”.

Questi misirizzi, Ercolini sempre in piedi, costruiscono potere e relazioni e poi li spendono pensando alla prosecuzione della specie: la loro. E così, guardando quelle foto, non riesco a non pensare che i politici contemporanei non siano in niente diversi dall’aristocrazia di ancien régime. Si dirà, con Marx, che il segreto della nobiltà è la zoologia, e che invece questi ce li siamo scelti. In fondo, i politici, anche quelli inchiodati allo scranno, li abbiamo eletti noi. Da sempre infatti, per i re (così come per la divinità), funziona un meccanismo ‘teurgico’. Fingunt simul creduntque, diceva Hobbes citando Tacito: credono a ciò che essi stessi hanno inventato. E del resto se dio fosse pieno di gloria perché non farebbe che implorare di essere glorificato? Così i re non sarebbero esistiti e gli eterni politici contemporanei neanche se gli uomini non avessero messo in piedi quella teurgia che istituisce dal basso la divinità (e, in controluce, il sovrano).

Si tratta di un punto, diciamocelo, colto in pieno dallo scalpitante Renzi di qualche anno fa. La rottamazione altro non era se non l’esigenza dei giovani di tagliare le teste degli alti papaveri. Eppure, per Renzi e per il giglio magico tornano in mente Tarquinio il Superbo e suo figlio Sesto Tarquinio. Per conquistare la città di Gabii, Sesto si finse alleato dei suoi abitanti, e nel frattempo mandò dal padre un emissario per farsi dire cosa avrebbe dovuto fare per favorirlo nella conquista della città. Tarquinio il Superbo, senza proferire parola, si mise a recidere con una verga i papaveri più alti. Il messo riportò l’immagine a Sesto, il quale intuì che il padre voleva che il figlio esautorasse la classe dirigente gabina ‘tagliando le teste’ dei più eminenti.

Ancora padri e figli (e figlie). Sorridenti, in quelle foto sembrano confidare nella servitù volontaria di chi assicurerà ancora una volta la riproduzione dell’ordine sociale. Quell’ordine che garantirà il benessere delle loro famiglie, mentre in Italia si racconta di gente costretta ad accettare lavori a meno di due euro l’ora. Se c’è un augurio possibile per il 2018, anno di elezioni, è di spezzare quella servitù, di detronizzare i nuovi aristocratici. Di imparare che il potere (politico e non) non è eterno, che esso è un mostro dai piedi d’argilla, e quell’argilla siamo noi.

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