“Ti piace l’Opera?”, chiede Andrew Beckett, alias Tom Hanks, mentre ascolta Maria Callas nell’Andrea Chenier, al suo avvocato Joe Miller, alias Denzel Washyngton, in Philadelphia. Domanda che può sembrare retorica, ma non lo è. Già, perché i teatri lirici italiani non registrano quasi mai dei sold out. Con l’eccezione di Roma e Milano e, in misura minore, Napoli, le sale rimangono troppo spesso parzialmente vuote. Lo ha documentato alcuni mesi fa l’Economist. Nonostante la tradizione dell’opera italiana sia una delle più celebri della musica lirica nel mondo i numeri sono impietosi. I motivi molteplici. Compresa l’offerta.

In Italia ci sono 23 spettacoli per ogni milione di residenti, rispetto ai 139 dell’Austria e agli 83 della Germania. Tanto per essere chiari, anche la Lettonia ha quasi il doppio degli spettacoli dell’Italia. Quanto questo e altro sia in relazione alla situazione delle fondazioni lirico-sinfoniche è più che evidente. Nonostante i finanziamenti, gli interventi pubblici, i risanamenti, la situazione delle fondazioni non è positiva, né dal punto di vista economico né, appunto, dal punto di vista dell’offerta.

E allora, che fare? Quali strategie approntare per incrementare l’appeal? Per riempire le poltrone vuote? Un’idea solo parzialmente nuova potrebbe essere la programmazione tv. In particolare l’inserimento dell’opera lirica nei palinsesti della tv pubblica. Il 7 dicembre Rai 1 ha trasmesso nel preserale l’opera che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala, l’Andrea Chenier di Umberto Giordano. Ascolti bassi? Tutt’altro! Sono stati in media 2 milioni e 77mila a guardarla, per uno share dell’11%. Numeri importanti, insomma.

“E’ un dato di cui sono particolarmente orgoglioso perché premia il nostro impegno concreto di servizio pubblico a favore della cultura e perché crediamo nel dovere di dare strumenti al pubblico per esplorare territori nuovi, come per alcuni può essere la lirica. Anche con un’opera non facile come l’Andrea Chenier, che il Maestro Riccardo Chailly e il regista Mario Martone, insieme agli interpreti, hanno contribuito a svelare per il capolavoro che è”. Mario Orfeo, era soddisfatto e, forse, anche un po’ incredulo. Così probabilmente in Rai hanno tirato un sospiro di sollievo. Già perché, a dispetto delle parole di Orfeo sull’ “impegno concreto di servizio pubblico a favore della cultura” e sul fatto di credere “nel dovere di dare strumenti al pubblico per esplorare territori nuovi”, l’opera in tv non ci va mai, se non occasionalmente e comunque episodicamente in diretta.

Ad esempio, il 12 dicembre è, vero, è andato in onda il Faust di Hector Berlioz, opera che ha inaugurato la stagione del Teatro dell’Opera di Roma, ma in differita e su Rai 5. La rete che dà almeno un po’ di spazio all’opera, anche se spesso in orari poco “invitanti”. Un esempio? Il Rigoletto di Giuseppe Verdi, rappresentato all’Arena di Verona nel corso del Festival Lirico 2001, e proposto il 2 aprile, alle 10. L’impressione, supportata dai dati, sembra proprio essere che la tv pubblica punti decisamente poco sulla trasmissione dell’opera lirica.

“Sarebbe bello se, invece di essere vista come una tassa da pagare a un’idea bolsissima di cultura, l’opera in tv fosse considerata normalmente un prodotto; impossibilitato, come prodotto, a battere i numeri di Sanremo, ovviamente”, ha scritto Matteo Persivali su Sette del Corriere della Sera. Un problema forse è anche questo. Pensare allo share, inseguirlo troppo spesso con prodotti di non altissimo livello, ma dai costi esorbitanti. Aver sostanzialmente abbandonato l’idea che il servizio pubblico possa avere una sia pur marginale funzione pedagogica. C’era una volta una Rai che pensava anche a questo. Educare. Far conoscere. Il teatro, ad esempio e l’opera lirica, appunto. Espressioni entrambe dell’Italia migliore. Peccato che, a dispetto delle dichiarazioni di rito, in Rai continuino a non curarsene.

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