Meno dell’anno scorso, ma sempre troppi. Secondo l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières, nel 2017 sono stati 65 i giornalisti uccisi nel mondo nell’esercizio del loro lavoro, anche se in leggero calo rispetto ai 79 che hanno perso la vita nel 2016. A livello statistico si tratta di una riduzione del 18%. Tra i reporter uccisi quest’anno ci sono 50 giornalisti professionisti, il dato più basso degli ultimi 14 anni, sette blogger e otto collaboratori. Raddoppiato il bilancio di giornaliste uccise, 10 in tutto il mondo contro le 5 dello scorso anno. Gran parte di esse, deplora Rsf, erano “giornaliste d’inchiesta esperte e combattive, dalla scrittura pungente. Nonostante le minacce, continuavano ad indagare e a svelare casi di corruzione e altre vicende riguardanti autorità politiche o gruppi mafiosi. Hanno pagato con la vita le proprie inchieste“.

Tra l’altro, viene ricordato l’assassinio, il 16 ottobre a Malta, di Daphne Caruana Galizia ma anche Gauri Lankesh (crivellata di colpi a Bangalore, in India) e Miroslava Breach Velducea, uccisa in Messico. Dei 65 giornalisti uccisi quest’anno, 26 sono vittime collaterali, caduti cioè a causa di bombe o attentati nelle zone che stavano coprendo. Altri 39 sono stati direttamente assassinati, finiti nel mirino per le loro inchieste scomode su interessi politici, economici o mafiosi. Come l’anno scorso, la parte dei giornalisti colpiti in modo deliberato è quella più importante (60%). La maglia nera del Paese più pericoloso resta alla Siria, con 12 giornalisti uccisi, davanti al Messico (ben 11 morti nonostante non sia un Paese in guerra), Afghanistan (9), Iraq (8) e Filippine (4).

Negli ultimi 15 anni i cronisti morti mentre erano al lavoro sono stati 1035. Rsf si congratula tuttavia per la “crescente consapevolezza” da parte di istituzioni internazionali e media della necessità di proteggere maggiormente i giornalisti come anche moltiplicare le campagne di sensibilizzazione. Anche se i dati restano “allarmanti”, la riduzione dei morti è costante dal 2012. Oltre ai 65 reporter uccisi nello svolgimento della professione, l’associazione conta 326 detenuti su scala globale, 54 in ostaggio e 2 scomparsi. La “più grande prigione del mondo” per gli operatori dei media resta la Cina, con 52 cronisti imprigionati, seguono Turchia (43), Siria (24), Iran (23) e Vietnam (19). Quanto ai giornalisti ostaggio, oggi se ne contano 54, di cui 29 soltanto in Siria. Seguono Yemen (12), Iraq (11) e Ucraina (2).

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