Quando al 15’ della ripresa, sotto di 2-1 in casa contro l’Udinese, Spalletti si è voltato verso la panchina, è stato preso da un attimo di sconforto: ha passato in rassegna i giocatori a disposizione e non ha trovato nessuno. Ha fatto un altro giro, quasi per disperazione, e ha pescato l’esotico Karamoh: l’unico che ha, o almeno potrebbe potenzialmente avere, un minimo di estro per raddrizzare una partita storta. Che forse, non a caso, è finita 3-1 per l’Udinese.

Prima o poi doveva succedere: era fisiologico che l’Inter capolista, unica squadra ancora imbattuta in tutti i campionati professionistici del calcio italiano, dovesse perdere una partita. Era meno prevedibile che sarebbe accaduto in un match casalingo contro una formazione di bassa classifica, dopo essere usciti indenni da Roma, Napoli e Torino, i tre campi più difficili della Serie A. Colpa soprattutto di un paio di errori marchiani di Santon e di un pizzico di sfortuna (tra occasioni sprecate, rigori col Var e traversa di Skriniar sull’1-2, tutto ciò che poteva è girato male). Inutile drammatizzare, dunque: la prima sconfitta non cambia nulla del percorso dei nerazzurri. Semmai, è come verrà gestita che conta: potrebbe essere l’inizio della discesa, come fu due stagioni fa per Mancini; ma se i ragazzi di Spalletti dimostreranno di saperla superare, potrebbero uscire addirittura rinforzati dallo scivolone.

Il risultato va archiviato subito, come il passo indietro dal primo al terzo posto in classifica (virtualmente anche quarto, con la Roma che deve recuperare la gare contro la Sampdoria). Ciò che resta veramente della sconfitta contro l’Udinese, invece, è l’aver ricordato a tutti i limiti della rosa nerazzurra. Spalletti compreso, che forse se n’era un po’ dimenticato dopo le ultime settimane di prestazioni clamorose. Non è un caso che nel dopo partita il tecnico toscano abbia parlato subito di mercato, chiedendo chiarezza alla proprietà. I suoi detrattori, del resto, l’avevano pronosticato: “Vedrete, appena andrà male comincerà a lamentarsi”. Più che una lamentela fine a se stessa o a mettere le mani avanti, però, stavolta quello di Spalletti sembra un giusto monito a tutto l’ambiente nerazzurro.

Dire che “la squadra è difficile da migliorare”, come ha fatto il direttore sportivo Piero Ausilio, è semplicemente sbagliato. L’Inter ha un problema numerico: pochi ricambi, quasi inesistenti in alcuni reparti cruciali; un buco sulla trequarti dove, se Brozovic non è in giornata (e capita spesso), manca un vero interprete del ruolo; soprattutto, l’assenza di un uomo di fantasia, capace di saltare l’uomo e inventare la giocata, di cambiare da solo la partita. Come sarebbe servito, e non è successo, contro l’Udinese.

Fin qui Spalletti ha fatto più del massimo: arrivato ad agosto per guidare un progetto di rifondazione che avrebbe dovuto contare su investimenti massicci e top player internazionali, si è ritrovato a fare i conti con l’embargo cinese e, grosso modo, la stessa squadra che aveva fallito miseramente lo scorso anno. Rigenerando i vecchi giocatori, valorizzando oltre ogni aspettativa i nuovi innesti, è riuscito a competere per il vertice. Ora, però, tocca a Suning: è il momento di mettere mano al portafoglio. Il nuovo padrone dell’Inter deve decidere cosa vuole fare di questa stagione: se accontentarsi di tornare in Champions League, traguardo comunque preziosissimo per la società, o puntare a qualcosa in più, visto come si è messa la classifica. Quando sei l’Inter, le cose vanno bene e porti 50-60 mila persone ogni domenica allo stadio, sognare è inevitabile. Ma i sogni da soli non bastano. Con 2-3 acquisti a gennaio, un paio di rincalzi e un calciatore di fantasia in grado di spostare gli equilibri, forse l’Inter potrà davvero lottare fino alla fine con Juventus, Napoli (e magari pure la Roma). Altrimenti sarà solo quarto posto. E anche così, viste le premesse, sarebbe un trionfo.

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