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‘Gela is bedda’, il progetto di recupero è solo uno spot per Eni

‘Gela is bedda’, il progetto di recupero è solo uno spot per Eni
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“Sotto il nome ‘Gela is bedda’, un gioco di parole nato con l’intento di legare la dimensione locale a quella internazionale. Sono stati portati via dall’acropoli ben 200 sacchi di sterpaglie…”. Eni fa pubblicità così ad una sua iniziativa. Una intera pagina nel Corriere della sera. Buone Notizie di questa settimana.

E’ accaduto nel luglio scorso. Anche se la questione forse non ha avuto la rilevanza sperata. Così ecco che Eni, “Energia positiva”, la rilancia. A Gela, non lontano dalle raffinerie del colosso dell’energia italiana, c’è l’acropoli della città antica. C’è, anche se non si vede. Sterpaglie ovunque, perfino alcuni canneti ed una coppia di palme. Le strutture antiche quasi fagocitate. E’ così da anni. Insomma un mezzo disastro, completato dalla mancanza di qualsiasi indicazione. Nessun pannello che informi quei temerari turisti che giungano qui.

Ed ecco l’idea di Eni: pulire l’area, almeno renderla visibile, se non comprensibile. Chi pensasse che Eni oltre all’idea ci abbia messo i denari sbaglierebbe. E poi perché mai avrebbe dovuto farlo? Forse per il desiderio di far rinascere un’area alla cui marginalizzazione hanno contribuito i suoi stabilimenti? Oppure per rispondere ad un riscoperto senso civico? Può darsi. Quel che è certo è altro. Le modalità con le quali l’area archeologica è riemersa. Un campo internazionale, appunto “Gela is bedda”, facente parte della rete Cantieregela. Per la precisione un campo di volontariato del territorio. Progetto coordinato dal Centro Studi Miconos, insieme al Gruppo archeologico Geloi, l’Ecomuseo del Golfo di Gela in collaborazione con la Casa della Divina Misericordia, la Casa del Volontariato, la scuola media San Francesco, il Polo Museale di Gela e, appunto, l’Eni.

I protagonisti? 14 ragazzi, dai 20 ai 30 anni, provenienti da ogni parte del mondo per 12 giorni. Hanno lavorato senza ricevere alcuna ricompensa, dopo aver dovuto provvedere al viaggio. Al vitto e all’alloggio ha provveduto il Comune. A parte il pranzo. A quello ha provveduto Eni, ospitando i ragazzi nel ristorante aziendale della raffineria. Progetto promosso dalla rete “Questi giovani dimostrano che è possibile una cittadinanza internazionale, dimostrando che è possibile l’integrazione tra culture differenti. Questa esperienza inoltre mette al centro l’agire libero e disinteressato del volontariato che non cerca vetrine ma è capace di mettersi veramente al servizio della città”, ha detto Michele Curto, della rete di Cantiere Gela. “In questo modo candidiamo la città a diventare laboratorio di politiche giovanili e culturali e centro di ricerca e promozione dell’archeologia”, ha aggiunto Giuseppe La Spina, presidente di Mikos e direttore del Gruppo archeologico Geloi.

Un tale successo, dicono gli organizzatori, che già si pensa al prossimo anno.

“Si vuole raccontare un’altra bella storia di energia”, si legge nella pagina pubblicitaria che Eni ha pubblicato. L’ “energia” è, naturalmente, quella dei volontari. Giustamente orgogliosi del loro lavoro. Sul fatto che si tratti un bel risultato, nessuna incertezza. Ma almeno un dubbio rimane. In questa “bella storia” Eni che c’entra? Meglio ancora, cos’ha fatto, oltre ai pranzi aziendali, per pubblicizzarla come sua?

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