Le regioni italiane sono meno di venti, Piacenza è in Lombardia, Pordenone è in Piemonte e il lago Maggiore chiaramente è il più grande d’Italia. Eccoli i risultati di una scuola dove la geografia è stata bistratta, considerata una materia di serie b, insegnata da chi non la conosce o persino censurata. A mostrarci i danni del sistema d’istruzione italiano è un sondaggio effettuato su circa 1500 ragazzi (dalle scuole medie all’università) e pubblicato nei giorni scorsi da Skuola.net.

La metà degli studenti non sa che le regioni italiane sono 20: la risposta giusta la dà appena il 51%. E allora non stupisce che quasi un ragazzo su tre posizioni Piacenza in Lombardia e che, rimanendo in tema, 1 su 4 sia convinto che Sondrio non sia una provincia lombarda. Più o meno lo stesso scenario spostandoci di zona: appena il 43% dimostra di sapere che Pordenone è una provincia e che si trovi in Friuli Venezia Giulia; il 19% la colloca in Piemonte, il 16% in Emilia-Romagna, il 12% in Veneto, il 10% in Trentino Alto-Adige. Niente da fare anche con il Sud. Crotone?

Per uno studente su cinque è un capoluogo della Basilicata, per uno su dieci della Puglia, qualcuno la mette addirittura in Sicilia e Sardegna; solo il 57% risponde correttamente. Il lago più grande d’Italia? Per il 14% degli intervistati è il Lago Maggiore (cadendo nel famoso tranello), per il 17% è il lago di Como e il 60% è invece preparato e dice Lago di Garda. Parecchi i problemi emersi pure quando si affronta il tema Unione europea.

Gli Stati membri, attualmente, sono 28 (che diventeranno 27 dopo l’uscita del Regno Unito). Peccato che lo sappia solo un terzo- il 33%- dei ragazzi. La maggior parte ne ricorda meno: il 25% indica il numero 26, il 24% il numero 22; il restante 18% si divide tra chi dice che siano solo 19 o addirittura 30. E la moneta unica? Uno su quattro è convinto che la Grecia non abbia l’euro, 1 su 5 l’Olanda, 1 su 10 il Belgio. Quando, invece, è la Romania a non figurare nella lista: ma lo sa solo il 37%.

Non ho dubbi: questi sono i risultati di anni di insegnamento della geografia senza una didattica della stessa materia, senza alcuna riflessione sul modo con cui si trasmette il sapere. Una scuola che valuta se conosci i fiumi a memoria, che misura con un quiz –verifica se sai i laghi fregandosene di quel che veramente il bambino-lo studente ha appreso grazie ad un’esperienza. Ma poichi la insegna?

Insegnanti che chiamano le mappe “cartine”, che non hanno viaggiato, che non conoscono. I primi a richiamare l’attenzione su questo tema sono i docenti dell’Associazione italiana insegnanti di geografia: “La riforma Gelmini ha prodotto pesanti ricadute dovunque. Nei Licei, ad esempio, ha associato, in un connubio malamente progettato, la geografia alla storia, con una riduzione da quattro a tre ore settimanali. Altri e non minori danni sono presenti anche nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado. Basti l’esempio del corso di studi in Scienze della formazione primaria per comprendere in quale considerazione sia tenuta la geografia a livello istituzionale. Sebbene storia, geografia e scienze possano considerarsi allo stesso livello, per conseguire la laurea che consente l’insegnamento i futuri maestri devono sostenere nove crediti formativi per le discipline geografiche, 16 crediti formativi per quelle storiche e 26 crediti formativi per quelle che fanno capo a scienze”.

Senza parlare dei sussidiari e di chi insegna geografia dimenticandosi i luoghi più importanti della storia. C’è chi parla di Trieste senza citare la Risiera di San Sabba così come chi spiega la Sicilia senza parlare di Portella della Ginestra o di Falcone e Borsellino. Una geografia sempre chiacchierata e poco vissuta con viaggi d’istruzione capaci di declinare sul campo quanto si è studiato: il Vajont per capirlo lo devi vedere. E poi non lamentiamoci se un 25enne che tira calci ad un pallone non conosce Marzabotto!

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