Il 2018 rischia di diventare l’anno nero per gli immigrati negli Stati Uniti senza regolari documenti. Il presidente Donald Trump ha annunciato che a marzo si concluderà, senza essere rinnovato, il programma Daca voluto nel 2012 dal suo predecessore, Barack Obama, per garantire a 800 mila Dreamers, persone immigrate irregolarmente nel Paese quando ancora erano minorenni, di poter continuare a vivere negli Stati Uniti con permessi temporanei, rinnovabili ogni due anni, in attesa dell’approvazione di una legge specifica che il Senato Usa sta discutendo dal 2001. Con il nuovo anno scadranno, e non sembra che il Presidente sia intenzionato a rinnovarli, anche i permessi umanitari per i rifugiati provenienti da Haiti, El Salvador, Honduras e Nicaragua. Altre 250 mila persone che rischiano, così, di diventare irregolari negli Stati Uniti. “Questi immigrati sono solo una parte degli 11 milioni di irregolari che vivono oggi nel Paese. Se, come credo, le politiche della Casa Bianca diventeranno più aggressive, queste persone vivranno ogni giorno con la minaccia della deportazione di massa”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andre M. Perry, ricercatore del Brookings Institution di Washington. 

Il Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca) voluto dall’amministrazione Obama ha lo scopo di colmare un vuoto normativo riguardante le persone immigrate irregolarmente nel Paese quando erano minorenni e ai quali, quindi, non è attribuibile alcuna responsabilità. Vuoto lasciato dal disegno di legge Dream Act, in discussione al Senato dal 2001 e mai approvato, che aveva lo scopo di regolarizzare la posizione dei cosiddetti Dreamers. “Si tratta di persone arrivate negli Usa in giovane età – continua Perry – Alcune di queste non sono mai state all’estero e non parlano nemmeno la lingua del Paese di origine. Non sono cittadini americani, ma comunque membri attivi delle comunità nelle quali vivono. Hanno studiato qui, lavorano qui, pagano le tasse qui, si sono costruiti una famiglia qui. Rispedirli in Paesi che nemmeno conoscono sarebbe una catastrofe”. Per questo, la speranza è che il Senato riesca a legiferare entro marzo 2018, prima che scada il programma Daca e quasi un milione di persone diventino vulnerabili e soggette ad espulsione dal Paese.

Se 800 mila soggetti hanno avuto accesso al Daca, si calcola che negli Stati Uniti vivano altri 500 mila Dreamers che, per vari motivi, non hanno avuto accesso al programma. Un totale di 1,3 milioni di persone che, con l’inasprimento delle politiche governative sull’immigrazione, sarebbero costrette a convivere con il timore di un provvedimento d’espulsione dal Paese. A questi vanno aggiunti i circa 250 mila rifugiati che fino a gennaio godranno di protezione umanitaria nel Paese. Con il nuovo anno, i cittadini di Haiti, Honduras, El Salvador e Nicaragua vedranno scadere la protezione negli Stati Uniti e Donald Trump non sembra intenzionato a rinnovarla. Non a caso, molti di loro, soprattutto haitiani, hanno già iniziato una migrazione di massa verso il più ospitale Canada. “Se si tengono in considerazione solo queste due categorie di persone – spiega il ricercatore americano – si parla di circa 1,5 milioni di soggetti, un numero decisamente elevato. Ma se, come temo, le politiche contro gli irregolari dovessero diventare più aggressive rispetto alla precedente amministrazione Obama, a rischiare la cacciata sarebbero 11 milioni di individui. Non credo che l’America voglia e sia in grado di organizzare una deportazione di massa di questa portata, ma anche una parte minoritaria rappresenterebbe un numero elevato: si tratta di centinaia di migliaia, se non milioni di persone, quindi famiglie, che verrebbero cacciate dal Paese nel quale hanno vissuto, in alcuni casi, la maggior parte della propria vita”.

Un’operazione del genere, in nome del trumpiano America First, avrebbe ripercussioni sia sociali che economiche sull’intero Paese. Oltre al problema di stravolgere gli equilibri delle comunità americane, con famiglie divise e rapporti personali cancellati improvvisamente, le deportazioni potrebbero impattare notevolmente sull’economia statunitense. Secondo un calcolo del Center for American Progress, solo i lavoratori che rientrano nel programma Daca contribuiscono per 30,5 miliardi di dollari al prodotto interno lordo americano. Numerose aziende nazionali verrebbero così messe in difficoltà da un provvedimento del genere, come già fatto notare dai colossi della Silicon Valley. “È molto difficile riuscire a calcolare le conseguenze economiche di un provvedimento di questa portata – dice Perry -, ma oltre al danno per le numerose imprese che impiegano queste persone, la Casa Bianca rischia di privarsi del potere d’acquisto di 11 milioni di individui. Inoltre, ci sono città, quelle dove la concentrazione di immigrati irregolari è maggiore, che rischierebbero di ritrovarsi in ginocchio. Penso ad esempio a Houston, dove si contano circa 600 mila irregolari inseriti nel contesto sociale ed economico della città”.

Prevedere le mosse di Trump dopo una mancata decisione da parte del Congresso e le conseguenti reazioni della popolazione interessata al provvedimento è ancora difficile, ma Perry esclude la possibilità di una deportazione su larga scala. “Non credo che gli Stati Uniti siano logisticamente ed economicamente in grado di attuarla – conclude – Forse alcune persone saranno spinte a emigrare volontariamente proprio per paura delle espulsioni, ma credo che si tratterà di una sparuta minoranza. Inoltre, un annuncio del genere, con l’allontanamento di queste persone dalle proprie case, dalle scuole e dalle comunità, provocherebbe gravi incidenti in tutto il Paese. Credo che gli Stati Uniti cercheranno di mantenere lo status quo, una situazione nella quale si trovano a loro agio e che mantengono da decenni: creare cittadini di seconda classe da poter sfruttare, almeno fino a quando saranno utili”.

Twitter: @GianniRosini

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