Più di 60 sedie distrutte, i locali di un ex cinema, da poco riportato ad attività culturali e aggregative, imbrattati e usati come latrine, sono il parziale bilancio di una festicciola tra coetanei trasformata da un altro gruppo di ragazzi un po’ più grandi in un’incursione vandalica, durata fino all’alba.

Prima che un episodio di ordinaria inciviltà accaduto dalle mie parti, in provincia di Piacenza (esattamente tra Ziano Piacentino e Castel San Giovanni) definito dai più una “loccata” o una bravata, getti il seme per ben più tristi episodi accaduti da altre parti ed etichettati come “stupidate” o “bambinate” provo a capire che cosa una piccola comunità possa responsabilmente fare per evitare che i propri ragazzi ripetano questi atti, per capire il perché, per stabilire quel clima di “diritto alla disciplina” elogiato dal pedagogista Bernhard Bueb (Elogio della disciplina, edito da Rizzoli 2007) e negato ai nostri giovani, ma necessario a costruire un cittadino consapevole e partecipativo.

Una disciplina non certo di tipo militare, tanto cara agli attuali governanti ungheresi, costruita su  di un sistema di regole condivise, note e trasparenti alle quali tutti sono tenuti ad attenersi.

Per fare questo non basta scriverle le regole, bisogna che tutti le rispettino e le facciano rispettare, dai più grandi ai più piccini, dalle amministrazioni ai singoli individui, praticando la miglior pedagogia esistente: quella basata, sull’ascolto, sul buon esempio e non su una autogiustificatoria disponibilità a “capire”.  “Stabilito che parlare di disciplina non è un tentativo di aggressione a dei poveri ragazzi, ma prima di tutto un carico, fatto di attenzione, che gli adulti si devono prendere sulle spalle, anche se inizialmente sarebbe molto più comodo lasciar fare ai bimbi quel che vogliono sin da piccoli.”

Non sarà certo un lavoro di breve periodo, ma qualcuno dovrà pur iniziare, anche in solitario, rompendo il luogo comune del “tanto lo fanno tutti”. Occorrerà però che si rompa anche quel malinteso senso di lealtà tra i ragazzi nei confronti dei loro pari, criticando, isolando e opponendosi alle stupide imprese di alcuni di loro, per riportare tutti a un rispetto dei beni comuni e all’amore per la propria comunità.

La petulanza di quelli della mia età nei confronti delle nuove generazioni a questo punto è quasi d’obbligo. Verso la fine degli anni ’60, alcune famiglie della borghesia avevano aperto le loro case ai giovani in cerca di un confronto, passando insieme delle ore in musica e allegria, in varie occasioni apparivano all’improvviso gruppi di giovani che in poco tempo distruggevano tutto, facendo tabula rasa anche dei difficili rapporti di conoscenza che stavano nascendo. Si trattava di quelli che si autodefinivano “Gli uccelli” un movimento e una pratica che fortunatamente non presero piede anche per la reazione dopo i primi episodi di coloro che avrebbero dato vita al movimento del ’68, che secondo Bueb però sta alla base di tanto lassismo educativo, ma che in quella situazione dimostrò di avere idee chiare sul da farsi.

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