La Corte Costituzionale ha annullato il ‘decreto Trivelle’ del 2015, che regolava il rilascio dei titoli oil&gas, perché adottato senza intesa con le Regioni. La sentenza accoglie così un ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Abruzzo e rappresenta la seconda vittoria nel giro di poche settimane da parte degli enti locali, dopo un altro verdetto, pubblicato nei giorni scorsi, con il quale sono stati dichiarati illegittimi due commi dell’articolo 38 dello ‘Sblocca Italia’. Il risultato è che si potrebbe arrivare alla paralisi delle trivellazioni, anche oltre le 12 miglia (autorizzate lo scorso aprile, ndr). “Ora procederemo ad impugnare il decreto Trivelle del 2016 (pubblicato nel 2017), interamente sostitutivo di quello del 2015 è anch’esso adottato senza intesa alcuna” ha scritto sul suo profilo Facebook il sottosegretario alla presidenza della Regione Abruzzo Mario Mazzocca, secondo cui “tale situazione dovrebbe determinare una sorta di moratoria per le richieste di nuovi permessi e concessioni, almeno fino a quando i contenuti del decreto non siano concertati tra lo Stato e le Regioni”. Mazzocca ha anche ricordato che la Regione ha predisposto e notificato il ricorso al Capo dello Stato contro il decreto trivelle (disciplinare tipo), molto prima della scadenza dei termini di legge, fissati al 1 agosto. “Ricorso che – ha annunciato – nei prossimi giorni verrà opportunamente integrato con le risultanze e i contenuti dei due recenti pronunciamenti della suprema Corte”.

LA SENTENZA PRECEDENTE – Il riferimento è alla sentenza 170, pubblicata il 12 luglio scorso, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi il comma 7 e il comma 10 dell’articolo 38 del Decreto legge 133, lo ‘Sblocca Italia’ tanto caro all’ex premier Matteo Renzi. Un verdetto che ha dato ragione alle Regioni che avevano presentato ricorso (Abruzzo, Veneto, Puglia, Marche e Lombardia) sulla spinta della mobilitazione di numerosi comitati e associazioni. Il comma 7 riguardava le modalità di conferimento del titolo concessorio unico e le modalità di esercizio delle attività in tema di idrocarburi, previste dal Disciplinare-tipo del 24 marzo 2015 che rientrano dunque sulla materia di competenza concorrente. Il comma 10 consente al Mise di autorizzare progetti sperimentali di ricerca e coltivazione per un periodo fino a cinque anni entro le 12 miglia, di concerto con il Ministero dell’Ambiente e dopo aver acquisito il parere, non vincolante, delle Regioni. La Consulta invece ha stabilito che, trattandosi di materia concorrente, non è competenza esclusiva dello Stato, senza alcun coinvolgimento delle Regioni, emanare il “Disciplinare  tipo per il  rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale” contenuto nel decreto del Mise datato 7 dicembre 2016.

LA VITTORIA DELL’ABRUZZO – Con la sentenza 198/2017 la Consulta ha nuovamente dato ragione alla Regione Abruzzo, dichiarando che “non spettava allo Stato e per esso al Ministro dello Sviluppo Economico adottare il decreto del 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) senza adeguato coinvolgimento delle Regioni”. In altre parole: addio al decreto ministeriale che attuava lo ‘Sblocca Italia’. L’Abruzzo è stata l’unica regione d’Italia a presentare il ricorso contro il decreto Trivelle 2015. “Lo strumento da mettere in campo entro il 1 agosto – ha dichiarato il costituzionalista Enzo Di Salvatoreè un ultimo ricorso straordinario dinanzi al Capo dello Stato. L’Abruzzo lo ha già inoltrato. Siamo ad una svolta epocale perché questa sentenza dimostra che la normativa di dettaglio dev’essere concordata all’interno della Conferenza Stato-Regioni, senza scorciatoie e rafforza il risultato del referendum del 4 dicembre perché ristabilisce la competenza concorrente in materia energetica”.

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