2) Rimane aperta la questione delle denominazioni italiane DOP e IGP. In base ad un criterio che non è stato reso noto, sono stati selezionati 41 prodotti italiani tutelati dal Ceta: questo significa che le restanti 248 denominazioni Made in Italy restano escluse, senza alcuna tutela.

Questa obiezione indica solo la malafede di chi la sostiene. Nel mercato anglo-americano i marchi collettivi (come Parmigiano Reggiano) non sono mai stati riconosciuti, perché la legislazione si regge sulla tutela del trademark – la proprietà intellettuale – e non di marchi che implicano caratteristiche di lavorazione e, spesso, anche la produzione in un luogo specifico e caratterizzante. Per la prima volta il Ceta introduce questa logica, che è una grande vittoria per il settore agroalimentare italiano, era una delle richieste principali dell’Italia. I prodotti sono 41 perché sono stati tutelati quelli che hanno un export o un potenziale di export. Questi prodotti saranno riconoscibili e tutelati nel mercato canadese, anche se dovranno coesistere con quelli dell’Italian sounding, cioè le imitazioni, perché non si poteva chiedere al Canada di far chiudere le proprie imprese. E’ un’occasione per il Made in Italy di qualità, non una penalizzazione (a differenza delle informazioni false che diffonde Coldiretti). Uno di quei risultati che gli economisti chiamano win-win, visto che per alcuni marchi la situazione migliora mentre per altri resta lo status quo. Quindi perché contestare l’aumento delle tutele? Solo perché è un argomento che, se adeguatamente manipolato, è facile da divulgare. Ma che serve a nascondere altri e meno nobili interessi corporativi che non avrebbero la stessa presa sull’opinione pubblica da social.

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Ceta, gli interessi delle lobby e le balle della propaganda

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